Rethor&Lithil – paradossi
Tutte le volte che penso a come descrivere Rethor&Lithil mi trovo di fronte a una lunga sfilza di paradossi e apparenti contraddizioni. Volete qualche esempio?
Il fantasy è il genere letterario che, per eccellenza, viene associato alle grandi saghe: una trilogia, la seconda trilogia, quello che è successo prima, il seguito, il seguito del seguito. Recentemente David Eddings ha indicato in dodici (dodici?) il numero perfetto di volumi di ogni ciclo che si rispetti.
Sull’altra sponda del fiume c’è il racconto, quella forma di narrazione che viene dai più considerata breve e frammentaria. In questo contesto racconto fantasy sembra quasi un ossimoro, una contraddizione in termini. Semplificando al massimo possiamo dire che Il preludio è un insieme di racconti. Ecco, racconti, non volumi.
Il mercato editoriale ha da tempo stabilito che dopo una trilogia è bene pubblicare un prequel, ovvero un libro contenente gli avvenimenti che hanno preceduto la storia principale. Volume uno, volume due, volume tre, prequel. Con Rethor&Lithil, naturalmente, ho deciso di fare l’esatto contrario, ovvero di seguire il giusto ordine della narrazione: comincio dall’inizio e lascio che quello che deve venire dopo… venga dopo.
Un anno fa o giù di lì mi interrogavo su questo e su altri temi che riguardano il fantasy. Per un autore che non viene pagato per scrivere è utile imbarcarsi in un progetto che prevede non uno ma più libri tutti collegati? O è una follia? E’ un investimento o la condanna a veder impiegato il proprio tempo libero da qui a due o tre anni con il rischio che tutto sfoci in un nulla di fatto? Sbagliare un libro, per uno che scrive nei ritagli di tempo, è un mezzo dramma: in queste condizioni ci si può permettere di sbagliarne tre o quattro?
A quel punto mi sono appellato a due proverbi. Mai fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Mai fare il passo più lungo della gamba.
Perché scriverli tutti prima di scoprire se gli editori, il mercato, il pubblico accolgono l’opera con favore o meno? Ne scrivo uno, quello iniziale, me ne frego se per tradizione dovrebbe essere l’ultimo ad arrivare nei negozi. Speriamo che piaccia e che questo mi dia la possibilità e lo stimolo per scrivere gli altri.Insomma, questo è il preludio, l’ambientazione, l’origine. Ci sarà (forse) spazio nel futuro per la lunga storia che segue. Il suo sviluppo approssimativo è di circa mille pagine. Abbiate fede: cercherò di averne anch’io.
Il fantasy è il genere letterario che, per eccellenza, viene associato alle grandi saghe: una trilogia, la seconda trilogia, quello che è successo prima, il seguito, il seguito del seguito. Recentemente David Eddings ha indicato in dodici (dodici?) il numero perfetto di volumi di ogni ciclo che si rispetti.
Sull’altra sponda del fiume c’è il racconto, quella forma di narrazione che viene dai più considerata breve e frammentaria. In questo contesto racconto fantasy sembra quasi un ossimoro, una contraddizione in termini. Semplificando al massimo possiamo dire che Il preludio è un insieme di racconti. Ecco, racconti, non volumi.
Il mercato editoriale ha da tempo stabilito che dopo una trilogia è bene pubblicare un prequel, ovvero un libro contenente gli avvenimenti che hanno preceduto la storia principale. Volume uno, volume due, volume tre, prequel. Con Rethor&Lithil, naturalmente, ho deciso di fare l’esatto contrario, ovvero di seguire il giusto ordine della narrazione: comincio dall’inizio e lascio che quello che deve venire dopo… venga dopo.
Un anno fa o giù di lì mi interrogavo su questo e su altri temi che riguardano il fantasy. Per un autore che non viene pagato per scrivere è utile imbarcarsi in un progetto che prevede non uno ma più libri tutti collegati? O è una follia? E’ un investimento o la condanna a veder impiegato il proprio tempo libero da qui a due o tre anni con il rischio che tutto sfoci in un nulla di fatto? Sbagliare un libro, per uno che scrive nei ritagli di tempo, è un mezzo dramma: in queste condizioni ci si può permettere di sbagliarne tre o quattro?
A quel punto mi sono appellato a due proverbi. Mai fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Mai fare il passo più lungo della gamba.
Perché scriverli tutti prima di scoprire se gli editori, il mercato, il pubblico accolgono l’opera con favore o meno? Ne scrivo uno, quello iniziale, me ne frego se per tradizione dovrebbe essere l’ultimo ad arrivare nei negozi. Speriamo che piaccia e che questo mi dia la possibilità e lo stimolo per scrivere gli altri.Insomma, questo è il preludio, l’ambientazione, l’origine. Ci sarà (forse) spazio nel futuro per la lunga storia che segue. Il suo sviluppo approssimativo è di circa mille pagine. Abbiate fede: cercherò di averne anch’io.
Commenti
:-)
Ci sto pensando, non scherzo. Oh, e non è semplice. Sono un esibizionista nato, sempre alla ricerca di un pubblico, molto trasparente... cosa non sa la gente di me? Che sono timido? Mm, banale. Che ho uno scoiattolo di peluche appeso allo specchietto retrovisore? Che non so nulla di goegrafia, nel senso che non so dove siano Potenza, Orbetello, le Alpi Cozie (e anche quelle Graie, se è per questo)? I paesi esteri? Figurati che ho scoperto da poco dov'è la Finlandia. Oppure non sanno che con me basta la carota, perchè il bastone non serve? Che raggiungo gli obiettivi con lo stesso spirito di un bambino che risolve un puzzle, e poi mi disinnamoro? Quante sono? Tre? Per adesso non mi viene in mente altro.
L'apice delle mie paginate di dialoghi è un romanzo che ho ancora nel cassetto (dal titolo provvisorio "Di cose giuste e di cose ingiuste") dove ci sono alcuni capitoli solo di vis-à-vis. Delirio di dialoghi, insomma.
Sì, diciamo che mi vengono abbastanza bene: parlo come mangio e scrivo come parlo. Questo vuol dire che scrivo come mangio? o_O'