Corrado Augias
Egr. Dott. Augias
noto da tempo che i mezzi di informazione hanno preso l’abitudine di eliminare i cognomi dei personaggi che popolano sia le pagine della carta stampata che i notiziari trasmessi dalla televisione o dalla radio.
Nel caso dei politici (Silvio, Romano, Walter, Piero e così via) questa tendenza è strettamente legata con il costante svuotamento di significato della parola autorità, le cui cause sono in parte collegate alla ventata di antipolitica che continua a imperversare, ma anche al costante bisogno che mostrano i nostri governanti di voler essere (o far credere di essere) vicini alla gente.
Questo fenomeno è tuttavia ancora più evidente per le vittime dei fatti di cronaca nera, in particolare per quelli più efferati: Meredith, i fratellini Ciccio e Tore, Chiara e così via fino all’ultras-dj Gabriele. Credo che questo comportamento affondi le sue radici in un bisogno di partecipazione del pubblico che va ben al di là della semplice indignazione o pena.
È il bisogno di sentirsi vicini al lutto che ha colpito altri, ma che vogliamo in qualche modo sentire come nostro, quasi che il protagonista fosse un parente o amico e non uno sconosciuto. Non penso, ma non vorrei rischiare di apparire eccessivamente cinico o snob, che ciò dipenda soltanto da una presa di coscienza che quei fatti, cruenti e luttuosi, un domani potrebbero accadere a noi, e nemmeno dalla volontà di esorcizzarne la paura.
Sul bisogno di dare solidarietà, anche solo apparente e astratta, ha ormai preso il sopravvento la spinta a provare sentimenti forti, a indignarci, ad accusare, a invocare la punizione del colpevole, a piangere vittime chiamandole per nome.
Non voglio in nessun modo dire che non si debba partecipare al dolore altrui, o che l’empatia debba essere mandata in soffitta. Anzi, sono convinto che, in questi frangenti, la compassione assuma un ruolo determinante. Non credo tuttavia che gli atteggiamenti di cui parlavo abbiano qualcosa a che vedere con la carità, almeno con quella intima e individuale, ma che si confondano e si stemperino in quelli omologati della folla.
Il diritto al nome è uno di quelli fondamentali per l’uomo. Possiamo sperare di avere anche diritto a un cognome?
Approfitto per rivolgerle i migliori auguri di Natale e di buone feste.
noto da tempo che i mezzi di informazione hanno preso l’abitudine di eliminare i cognomi dei personaggi che popolano sia le pagine della carta stampata che i notiziari trasmessi dalla televisione o dalla radio.
Nel caso dei politici (Silvio, Romano, Walter, Piero e così via) questa tendenza è strettamente legata con il costante svuotamento di significato della parola autorità, le cui cause sono in parte collegate alla ventata di antipolitica che continua a imperversare, ma anche al costante bisogno che mostrano i nostri governanti di voler essere (o far credere di essere) vicini alla gente.
Questo fenomeno è tuttavia ancora più evidente per le vittime dei fatti di cronaca nera, in particolare per quelli più efferati: Meredith, i fratellini Ciccio e Tore, Chiara e così via fino all’ultras-dj Gabriele. Credo che questo comportamento affondi le sue radici in un bisogno di partecipazione del pubblico che va ben al di là della semplice indignazione o pena.
È il bisogno di sentirsi vicini al lutto che ha colpito altri, ma che vogliamo in qualche modo sentire come nostro, quasi che il protagonista fosse un parente o amico e non uno sconosciuto. Non penso, ma non vorrei rischiare di apparire eccessivamente cinico o snob, che ciò dipenda soltanto da una presa di coscienza che quei fatti, cruenti e luttuosi, un domani potrebbero accadere a noi, e nemmeno dalla volontà di esorcizzarne la paura.
Sul bisogno di dare solidarietà, anche solo apparente e astratta, ha ormai preso il sopravvento la spinta a provare sentimenti forti, a indignarci, ad accusare, a invocare la punizione del colpevole, a piangere vittime chiamandole per nome.
Non voglio in nessun modo dire che non si debba partecipare al dolore altrui, o che l’empatia debba essere mandata in soffitta. Anzi, sono convinto che, in questi frangenti, la compassione assuma un ruolo determinante. Non credo tuttavia che gli atteggiamenti di cui parlavo abbiano qualcosa a che vedere con la carità, almeno con quella intima e individuale, ma che si confondano e si stemperino in quelli omologati della folla.
Il diritto al nome è uno di quelli fondamentali per l’uomo. Possiamo sperare di avere anche diritto a un cognome?
Approfitto per rivolgerle i migliori auguri di Natale e di buone feste.
Commenti
@Patty: le medie ti segnano. Nella mia scuola c'erano dei ragazzi che mi picchiavano sempre (altro che i bulli di oggi!). Ne ho incontrato uno dopo diversi anni, in una birreria. "Mi ricordo di te!" mi ha detto. "Alle medie ti picchiavo sempre!" Cose che ti segnano...
le superiori e l'università però sono stati anni felici.