Dilemma… fantasy

Eppure dovrebbe valere stessa logica di quando ho scritto il primo (o il secondo, o il terzo) libro. Scrivo perché mi piace, per divertimento ma anche per necessità interiore: la pubblicazione è un enorme punto interrogativo che per alcuni è un di più, per altri resta sempre e comunque lo scopo finale. Ma al di là di questa diatriba apparentemente infinita sulla scrittura come fatto personale o come azione rivolta all’esterno, in questo caso i punti interrogativi diventano tre, forse quattro.
Durante le vacanze natalizie ho messo giù gli appunti dei capitoli del primo libro della saga di Rethor e Lithil. I primi sei racconti solo un preludio all’opera completa, e questo lo sapevo già quando ho terminato il primo di essi. Così ho scritto i soggetti, la scansione temporale e, come suggeriva David Eddings, ho stilizzato una mappa dei due regni (Mi sono accorto che Eddings ha ragione: la mappa è una necessità imprescindibile e senza mappa non si va da nessuna parte).
Ok, l’intreccio mi piace, c’è una simbologia interessante, alcuni personaggi sono molto introspettivi. Gli ingredienti mi sembrano costituire una buona premessa. Adesso non resta che mettersi a scrivere.
“Ma chi vuoi che ti pubblichi un libro fantasy?” mi sono chiesto dopo aver accantonato i fogli e la mappa. È già difficile farsi pubblicare un libro di narrativa… figuriamoci tre libri fantasy. Tre? Eh sì, tre, ma anche quattro. Nel primo Lithil deve risolvere in problema degli annullatori di magia creati dalla tecnologia di Rethor (fatto). Nel secondo scoppia la guerra e i negromanti escono allo scoperto, mentre nel terzo si conclude la saga con due colpi di scena che ritengo interessanti. Poi c’è il prequel, un libro con una quindicina di racconti sui vari personaggi, che mi sono serviti a creare l’ambientazione, i caratteri, i presupposti.
Ho fatto qualche previsione dello sviluppo della storia: tre volumi da circa trecento pagine l’uno più altre trecento di prequel, milleduecento pagine in tutto, due anni (se va bene) di ore rubate al sonno, agli affetti, ai divertimenti, agli amici… un bell’investimento, insomma. E poi? Una trilogia fantasy pubblicata da un italiano, quindi da una delle grandi Case Editrici? E chi sono, Licia Troisi e le sue due editor?
“Certo” mi è venuto da pensare. “Se potessi scrivere per due/tre/sei mesi di fila, facendo solo quello, i tempi si accorcerebbero di molto.”
Il mio problema? Viene dall’educazione che (fortunatamente) mi hanno dato i miei genitori: la tranquillità economica viene dal lavoro, con il sottinteso che il lavoro è stabile. Quindi al lavoro non si può sottrarre nulla.
Nella vita ho investito quasi tutto nella mia testa. Forse avrei dovuto investire qualcosa di più… nel culo. No, non scherzo: un quiz televisivo dove arrivi con un pacco e vai via con centomila euro, oppure una pubblicità come quella della Marcuzzi, che trasforma un equilibratore intestinale in uno stipendio garantito… niente testa, solo culo.
Faccio come la maggioranza degli italiani, quelli che giocano al lotto o al Gratta e Vinci sperando che ci cambi la vita. Così potrei scrivere in santa pace. E magari, alla fine, vedermi rifiutare lo stesso i miei tre (o quattro) libri fantasy.La soluzione? Sta nelle parole di Lupi: “Ai giovani autori do un consiglio: cercatevi un lavoro perché coi libri non si campa.” Quando si dice la saggezza…

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