Editoria e pallone

L’altra sera a Ballarò sentivo parlare di calcio e scandali più o meno annunciati. Uno dei commentatori sosteneva che il più grande crimine commesso dalla premiata ditta Dirigenti-Arbitri-Designatori-Giornalisti-Amici è stato quello di uccidere i sogni di chi credeva nel calcio. “Dobbiamo salvaguardare i sogni dei piccoli tifosi” concordava un altro personaggio con un tono tra il retorico e il melenso prima di aggiungere che i colpevoli sono quelli “che hanno trasformato il calcio in un’industria.”
A quel punto mi sono chiesto: non vale lo stesso anche per l’editoria?

  • Il calcio è un gioco trasformato in business. I libro sono (dovrebbero essere?) cultura, ma ormai si avvicinano più al concetto di prodotto che di opera.
  • Le società giocano per vincere, perché vincere è guadagnare: pubblicità, sponsor, diritti televisivi e, assurdità delle assurdità, squadre che si fanno anche quotare in borsa. Gli editori pubblicano per guadagnare (i santi sono finiti e gli idealisti in via di estinzione).
  • Nel calcio sembrano esserci pericolosi interscambi tra soggetti che condizionano il mercato. Piperno dice che “l’ambiente letterario è piccolo, snob e mafioso” (ipse dixit… ovvero gli antenati di Pixie e Dixie).
  • È difficile valutare il valore di un giocatore: c’è quello giovane che è bravissimo, il campione non nel periodo migliore, quello che ogni tanto va e ogni tanto no, quello che serve solo per le plusvalenze… Provocazione: se compri un libro spendi diciotto euro, mentre se compri un giornale solo uno. Ma il prodotto, copertina a parte, non è così diverso, o no? Il prezzo invece…
  • Nel calcio c’è un duopolio tra le società più ricche. Nel mondo dell’editoria non esiste più (è mai esistita?) la via di mezzo: da un lato gli immensi gruppi editoriali che si sono mangiati anche le case editrici di media entità, dall’altro la microeditoria.

“Dobbiamo rifondare il calcio” sento dire da molti. Nessuno che si sia mai chiesto se non fosse il caso di fare lo stesso anche con l’editoria. Eppure, credo, siamo ancora in tanti a sentirci come i bambini che guardano febbricitanti le partite o vanno a giocare nei pulcini di qualche squadra di provincia. C’è qualche ministro, commentatore, giornalista, politico, dirigente che si ponga il problema di salvaguardare i nostri sogni, al pari di quelli dei piccoli del calcio?
Chi ha una cura (il cosiddetto piano b) è pregato di segnalarlo qui o sul blog Esperimenti Letterari. Ogni suggerimento è ben accetto.

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