Nuovi argomenti

Fabrizio Tiberio è un poeta torinese. Ci siamo visti poco prima delle vacanze per un pranzo consumato un po’ troppo di fretta. Prima di lasciarci mi ha però imprestato un numero di una rivista di Mondadori, Nuovi Argomenti, “Trimestrale fondato nel 1953 da Alberto Carocci e Alberto Moravia”. La copertina recitava “Italville: nuovi narratori italiani sul paese che cambia.”
Ci sono molti bravi scrittori nella raccolta, una sorta di giro d’Italia con i racconti come tappe. Tralascio i più e mi soffermo sul brano d’apertura, Diario di Enzo Siciliano, che tra le altre cose analizza con lucidità il ruolo riservato ai romanzi e agli scrittori dal mondo di oggi. Ne riporto alcune frasi procedendo a ritroso.
“Non c’è da pensare che (…) vogliano cogliere spoglie moribonde d’umanità al modo di un perdigiorno quale può essere inciso a punta secca in un filastrocca palazzeschiana.”
“È un dolore pigmentato diresti a freddo su una pagina (…)”
“Poche pagine, una lingua lavorata sul limite stretto degli usi ordinari (…)”
“L’ideologia carismatica della creazione letteraria (…), spolpata fino all’osso, ha perso il midollo.”
A cosa si riferisce? Non è importante, o meglio, lo è ma non qui. Quello che mi interessa sono le parole che usa.
È risaputo che ogni persona normale ha nella sua testa duecento spazi, duecento posti dove infilare i vocaboli di uso comune. Tra questi, anche se ci sforzassimo, non riusciremmo mai (noi normali) a trovare posto per dolore pigmentato, per un vetusto perdigiorno e meno che mai per ideologia carismatica. Figuratevi che io non ho ancora ben chiaro il significato di metafisico.
Perché tutta questa carenza di spazio? Perché di quelle duecento caselle, come sostiene un amico, novantanove sono occupate da minchia e dai suoi parenti più o meno stretti. E novantanove non sono poche.
Cosa ci resta dopo questa epurazione? Cento e uno termini soltanto, in cui stipare la descrizione di tutta la nostra vita. Cento e uno vocaboli con cui relazionarci non solo con gli altri, ma anche e soprattutto con la nostra coscienza e il nostro bisogno di trascendenza. Soltanto cento e uno come un branco di cani in fuga dalla strega crudele di certe fiabe moderne.
Centouno… basteranno per “cogliere spoglie moribonde d’umanità”, come ci esorta Enzo Siciliano?
Permettetemi di avere qualche dubbio in merito.

Commenti

Anonimo ha detto…
minchia...

ops...scusa, l'esclamazione mi è sgorgata così...

199 words left....

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