Bene o male?
Una delle metafore fondamentali che il fantasy porta con sé è l’eterna lotta tra bene e male. Nelle favole è sempre chiaro da che parte sta l’uno e da che parte l’altro. Nelle saghe arturiane e nel romanzo cavalleresco è evidente sin da subito chi è l’eroe e chi il cattivo. Nel Il signore degli anelli non c’è possibilità di redenzione per l’Oscuro Signore, mentre è Frodo, il buono, l’ingenuo, il puro, a essere costantemente tentato. Tra l’altro l’assolutezza del male in Tolkien è uno degli elementi maggiormente criticati della sua opera.
All’interno di questa lotta destinata a protrarsi fino alla fine dei tempi, verrebbe da chiedersi perché è il male a venir rappresentato con maggiore frequenza, a conquistarsi uno spazio maggiore nella narrazione.
In primo luogo credo perché sia molto più alla nostra portata immaginare il diavolo rispetto a Dio. Provateci per un attimo e poi ditemi se è vero il contrario.
In secondo luogo penso che nei libri valga la stessa regola che si pone alla base del giornalismo: non fa notizia il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane. Il lettore è maggiormente interessato a sentir raccontare le avventure di un buono che viene tentato dal male piuttosto che di un malvagio che potrebbe diventare buono. E in più, la prima situazione è quella più vicina alla nostra esperienza di vita. Noi nasciamo buoni e veniamo tentati durante il nostro percorso. Perché parlare d’altro?
In Rethor&Lithil la separazione tra bene e male non è così netta come in altri romanzi, anche ben più famosi e fortunati. Lo si capisce già dalla copertina, che presenta un continuum nella rappresentazione tra i due regni. Rethor sembra quello più intaccato dal male, eppure è lì che predica Padre Mitider, il sacerdote fondatore del culto della Verità. Agisce in buona fede ed è convinto di aver imboccato la strada della virtù. Lithil pare invece stare dalla parte dei buoni, anche se è qui che torna a essere praticata l’arte oscura della negromanzia.
All’interno di questa lotta destinata a protrarsi fino alla fine dei tempi, verrebbe da chiedersi perché è il male a venir rappresentato con maggiore frequenza, a conquistarsi uno spazio maggiore nella narrazione.
In primo luogo credo perché sia molto più alla nostra portata immaginare il diavolo rispetto a Dio. Provateci per un attimo e poi ditemi se è vero il contrario.
In secondo luogo penso che nei libri valga la stessa regola che si pone alla base del giornalismo: non fa notizia il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane. Il lettore è maggiormente interessato a sentir raccontare le avventure di un buono che viene tentato dal male piuttosto che di un malvagio che potrebbe diventare buono. E in più, la prima situazione è quella più vicina alla nostra esperienza di vita. Noi nasciamo buoni e veniamo tentati durante il nostro percorso. Perché parlare d’altro?
In Rethor&Lithil la separazione tra bene e male non è così netta come in altri romanzi, anche ben più famosi e fortunati. Lo si capisce già dalla copertina, che presenta un continuum nella rappresentazione tra i due regni. Rethor sembra quello più intaccato dal male, eppure è lì che predica Padre Mitider, il sacerdote fondatore del culto della Verità. Agisce in buona fede ed è convinto di aver imboccato la strada della virtù. Lithil pare invece stare dalla parte dei buoni, anche se è qui che torna a essere praticata l’arte oscura della negromanzia.
Il male è ovunque e tutte le anime sono grigie. Non è pessimismo e nemmeno disfattismo: in noi il confine tra luce e buio non è quasi mai netto e definito. L’uomo è sempre in attesa di qualcuno che accenda una lampadina.
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