Manifestazioni studentesche

Qualche tempo fa la rivista on line Kult Underground ha pubblicato una mia recensione di “È stata pura gioia”, un libro scritto a dodici mani da un gruppo di amici che nel 1977 organizzò a Follonica un concerto degli Area. L’evento non fu soltanto musicale, ma si trasformò in occasione per abbattere almeno tre muri, quello della sfiducia verso l’iniziativa nutrita dalla sede locale del Partito Comunista, quello generazionale con i genitori che vedevano i propri figli trasformarsi in soggetti attivi e propositivi, e quello non meno importante dell’ammorbidirsi del rapporto (teso) tra FIGC e gruppi dell’allora estrema sinistra.
Nel trentennale di quell’esperienza, la pubblicazione di questo libro diviene spunto e pretesto per un ragionamento obiettivo sui temi della contestazione studentesca e operaia, del femminismo, del terrorismo, degli Anni di Piombo, tematiche che, nonostante mantengano un buon grado di attualità, stentano ancora a trovare spazio di discussione.
Mentre leggevo il libro e prendevo appunti per la recensione, mi sono trovato a pensare a quanto è stata diversa la mia esperienza con la contestazione studentesca. Ricordo infatti di aver partecipato a un solo sciopero, un termine che ricordo veniva contestato fortemente dalla mia professoressa di diritto (“Lo sciopero è astensione dall’attività lavorativa” diceva. “Voi non lavorate, e quindi non potete scioperare.”).
L’iniziativa era partita da Torino, ed era prevista una massiccia mobilitazione delle scuole del capoluogo. Il motivo? Non ricordo, ma qualcosa che interessava più gli studenti cittadini che noi di provincia. Eppure non potevamo essere da meno, non potevamo non esprimere solidarietà, dovevamo a tutti i costi scioperare anche noi. Ma contro cosa?
Non potendo aderire al tema proposto da Torino, i rappresentanti degli studenti decisero di ripiegare su un evergreen: una protesta contro il costo del biglietto del treno nella tratta Ciriè-Lanzo, quella che prendevamo ogni mattina per andare a scuola e che prolungava il suo tragitto fino a Porta Susa.
Ci trovammo poco prima delle otto fuori dal cancello della scuola e decidemmo (compatti) di scioperare. “Andiamo in giro per Ciriè?” propose qualcuno. “Eh no” dissi io. “Se scioperiamo dobbiamo andare alla manifestazione.” Mugugni di disapprovazione. In effetti era molto più comodo passare la mattinata in qualche bar dopo essersi rimpinzati di pizza.
Alla fine partimmo solo io e un altro ragazzo, Riccardo. Pagato il biglietto per Torino scendemmo a Porta Nuova e poi a piedi fino in centro. E poi il corteo con tanto di autonomi, sindacati e polizia al seguito (trecento partecipanti secondo gli organizzatori, trenta secondo la Questura; in realtà erano quasi un centinaio, poliziotti compresi), io e Riccardo che ci sentiamo del tutto spaesati e fuori luogo, la fuga verso La Rinascente, la scoperta che il centro commerciale pullulava di studenti che avevano scioperato, il dietrofront verso la stazione, il biglietto per tornare a Ciriè.
Solo sulla via del rientro realizzammo di aver (formalmente) scioperato contro il gestore della linea ferroviaria, la Satti, per opporci ai costi eccessivi dei biglietto del treno. E che per farlo eravamo andati alla manifestazione di Torino (che non c’entrava nulla) pagando un profumato biglietto di andata e ritorno venduto dalla Satti stessa. Insomma, era stato come sparare sulla folla per protestare contro la violenza dilagante.
Inutile dire che quella fu la prima e ultima volta. In quel momento mi resi conto che la contestazione studentesca aveva perso ogni connotazione di centro di discussione forte e significativa. Negli anni ’80 caratterizzati dalla divisione sociale in Yuppies, Paninari e Metallari (altro che borghesia e proletariato!) si era trasformata in pretesto per tagliare da scuola.
Il risultato? Io e Riccardo non saltammo più una lezione a causa di uno sciopero, vero o presunto che fosse. In questo la manifestazione ci aveva aiutato non poco: i semi della coerenza avevano cominciato a mettere radici dentro di noi.

Commenti

Betty ha detto…
Dalle mie parti, gli scioperi sono oltraggiosi e si richiede un modulo di partecipazione ed un comunicato da dare all'utenza. Risultato: sei accusato di essere fagnano e gli utenti si sentono in vacanza. Non sciopero da una vita... per protesta contro lo sciopero.
Andrea Borla ha detto…
@Betty: perchè tu sei dalla'tlra parte della barricata: sei un'insegnante! E i tuoi allievi non sono più semplici "allievi" ma "utenti" e, di conseguenza, "quasi clienti". Al di là di alcuni (innegabili) problemi della classe insegnante, credo che la trasformazione in clientela sia uno dei danni maggiori che la scuola ha subito negli ultimi 15 anni.

Dario, uno degli autori del libro mi scrive:
"La tua esperienza è stata vissuta anche da me in alcune occasioni, anzi come forse si capisce dai racconti del libro chi come noi era a capo del Movimento Studentesco cercava di impedire questo tipo di situazioni, gli scioperi erano la conseguenza di una grossa meditazione e mediazione e non occasione di fancazzismo. Si è persa questa consapevolezza e si è fatto un uso scriteriato dello strumento dello sciopero? La risposta in parte è Si! Poi dobbiamo ricordare che piccole minoranze di giovani con coerenza hanno condotto sia negli anni 80 e 90 alcune buone battaglie. Ho problemi a seguire le ultime nuove generazioni, forse ne capisco in parte il linguaggio anche come padre ma credo che anche in questo caso ci sono delle ottime individualità, forse manca la coralità ma questo in generale è frutto della società sempre più individualista e commerciale e non è solo effetto della globalizzazione che ha in parte positivi ritorni. Costruiamo però un dialogo e non censuriamo, diamo fiato alle loro idee, non poniamoci in cattedra, credo che sia una buona esperienza e sicuramente ci arricchirà tutti."
Anonimo ha detto…
in italia sta andando tutto a rotoli e queste manifestazioni non sono altro che una panacea un'illusione che ci viene data di far valere i nostri diritti. I fili li tirano sempre gli stessi berlusconi o prodi che siano appartengono alla stessa razza.
Ogni mestiere rivela una certa predisposizione nel farlo ed una persona che è portato a fare politica non è certo un angelo con le ali.
Luigi

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