Erano anni che avevo un’idea in testa. C’entrava Magritte, il surrealismo e il quadro che rappresenta una pipa e su cui è vergata la frase “questa non è una pipa”. Era un’idea latente, di quelle che rimbalzano da una parete all’altra della scatola cranica ma non prende mai forma. Per un sacco di tempo l’ho portata con me, poi mi sono messo al pc e l’ho trasformata in un racconto. “Bene. Bravo.” Dopo aver riempito nove fogli A4, dopo aver letto e riletto, tagliato, corretto e limato ho stampato il raccontino godendomi un paio di minuti di soddisfazione. Poi mi sono chiesto “a che pro?” Se scrivi un romanzo rischi che non te lo pubblichi nessuno. Ma se scrivi un racconto o una raccolta di racconti sei sicuro di ottenere un solo risultato: più fogli in un cassetto di camera tua. A meno che… …a meno che non li usi per partecipare a un concorso. In questo ambito un racconto può servire a capire come scrive una persona, a valutare la sua capacità di creare ambienti, personaggi, situazioni e
Durante la cerimonia dipremiazione del concorso letterario “Racconti Corsari” dell’inizio di febbraio mi sono reso conto che alcuni interventi (tra cui il mio) hanno attinto informazioni e aneddoti dalla rete, e in particolare dalle pagine di Wikipedia . È un percorso quasi naturale, intrapreso da chiunque abbia un dubbio, e reso ancora più immediato dalla diffusione di quella protuberanza del nostro corpo chiamata smartphone. Dovrebbe essere un punto di partenza , nulla più, anche se spesso rappresenta sia l’inizio che la fine del nostro sforzo per appagare la sete di conoscenza: l’esercizio del pensiero critico necessita approfondimenti maggiori rispetto ai risultati di un semplice inserimento di parole chiave su un motore di ricerca o un sito. Sull’utilità di tale processo, tuttavia, non si discute, anche in relazione alla semplicità dell’accesso e alla fruibilità delle informazioni. Sul contenuto, invece, sarebbe il caso di discutere eccome: in passato ho eliminato dall’encic
Sin dalla sua nascita internet porta con sé una costante discussione sulla legittimità e sull’opportunità della condivisione di immagini, documenti e file in rete . Dove finisce il diritto individuale e dove comincia quello collettivo di vedere, conoscere ed essere informati? Anche Facebook non sfugge a questo dualismo . In questo senso il caso di Sasha Naspini (scrittore e membro dell’Underground Book Village) è piuttosto emblematico, come si comprende dal testo del messaggio che mi ha inviato qualche tempo fa. "Ieri ho condiviso sul mio profilo di faccialibro un breve archivio fotografico che riportava immagini piuttosto forti sulle conseguenze dei bombardamenti a Gaza. Si trattava di circa 60 foto rubate per strada, in cui si potevano vedere gli effetti concreti sui civili, ovvero morti su morti, uomini, donne, bambini. Era un documento crudo, ma vero; la potenza delle immagini è innegabile, indipendentemente dal contesto in cui vengono presentate. Avevo ritenuto opportuno con
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