A squola (3)

È bello incontrare gli allievi di una scuola: sono freschi, stimolanti e pieni di energie. Quelli di sabato scorso non sfuggivano alla definizione, anzi, erano particolarmente freschi, stimolanti e pieni di energie: il giorno prima della presentazione, in classe, avevano dato fuoco a un bianchetto (perché così la fiamma viene molto più alta di quando bruci soltanto un quaderno). Ah, la gioventù: alle superiori dai fuoco ai bianchetti, all’università sei pronto per le molotov.
Ho chiesto se erano felici di tagliare due ore di lezione grazie alla mia presentazione, e ho visto i loro visi illuminarsi. Tutti tranne quelli di qualche fanciulla: “Oggi a Torino c’erano i provini per il Grande Fratello 9” confessano. Come dargli torto? “Io guardo solo la Talpa” ribatte un ragazzo costretto dalla professoressa a sedersi in prima fila “perché dice che faccio troppo casino”.
Sì, ero stato avvertito della vivacità delle tre classi coinvolte, e soprattutto di quell’allievo che mi aveva minacciato “io, quello, lo faccio impazzire!”. “A me fanno impazzire solo le donne” gli ha risposto Quello. C’è rimasto male.
I ragazzi erano preparati. Avevano letto Odio e riempito diversi foglietti con domande spontanee. I pizzini passavano di mano in mano, ma solo alcuni avevano il coraggio di leggerli. Perché un giallo al contrario, perché proprio l’odio, dove l’autobiografia, perché la copertina, dove i sentimenti positivi…
Una delle domande era sulle modalità con cui viene scritto un libro. Ho parlato del mio metodo: una lunga preparazione, lo studio dei personaggi, la struttura, gli schemi, i foglietti e poi, solo quando lo scheletro è pronto, mano alla tastiera. Un professore interviene dicendo che così rispetto un principio fondamentale dell’ingegneria: progettare in tre ore per realizzare in cinque minuti. Perché la parola ingegneria mi fa pensare ai ragazzi che danno fuoco al bianchetto?
Perché i due Piero e Kym non si sono mai parlati? Così non ci sarebbe stato il dramma” fa notare una ragazza. E allora via alle risposte accademiche: l’incomunicabilità che stritola la nostra società, la paura di affrontare le conseguenze del dialogo, l’illusione che accantonare i problemi equivalga a trovar loro una soluzione. Dentro di me, però, non riuscivo a nascondere il vero motivo: se si fossero parlati, il romanzo sarebbe finito a pagina dieci.
E poi la fine: io ho regalato loro un libro, loro hanno voluto fare lo stesso con me. L’africano di J.M.G. Le Clézio, premio nobel per la letteratura 2009. Un augurio, precisano.
Come dire? Sé, auguri!

Commenti

Anonimo ha detto…
Caro Andrea,
innanzitutto ti faccio i miei complimenti per aver avuto il coraggio di ritornare tra i banchi di scuola.
E non nella veste di studente, ma bensì in quella di "cattedratico" (nel senso di stare dietro una cattedra).
Lo studente per definizione "è una persona che sta imparando qualcosa"...sì, ma da chi?
Dalla famiglia forse? Oggi sempre più divisa al suo interno e sempre meno in grado di stare al passo con una gioventù intraprendente (diamo fuoco al bianchetto, evviva!)e sempre più spesso priva di interessi (GF for ever!).
O dai professori? Che lottano uniti con i ragazzi contro la On. Gelmini, ma che si dimenticano (piccolo particolare) di spiegarne il motivo ai loro studenti!
Quindi complimenti a te Andrea, che hai "regalato" ai ragazzi un momento di vera cultura in un'eternità di ignoranza.
Viola.
Betty ha detto…
Ma davvero scrivi un libro con quel metodo? Foglietti, costruzione ed analisi dei personaggi... e' un'idea. Io inizio sempre da una scena e poi la storia prende piede. Ecco perchè tu sei dietro la cattedra e io no...
Andrea Borla ha detto…
@Viola: discorso serio. Dobbiamo distinguere tra educare e formare. Credo che qui ci sia un grande equivoco: l’educazione è in primo luogo a carico delle famiglie, la formazione alla scuola. Ma le famiglie delegano sempre di più queste funzioni e questo non è un buon segno.
Seul fatto che il mio si stato un intervento di “vera cultura”… mah, guarda, è stata più che altro una chiacchierata tra il serio e il faceto.
@Betty: ti faccio notare che quella che sta dietro alla cattedra è la maestra Betty (per noi “unica” ;) Tra l’altro, proprio per evitare che mi confondessero con un professore, sono stato in piedi per due ore *davanti* alla cattedra.
Sì, scrivo da una parte caratteristiche dei personaggi e rapporti tra loro (un sacco di frecce, insomma…) Poi passo alla sintesi “di cosa succede” nel romanzo e infine alla cronologia dei capitoli. Quando lo scheletro è pronto aspetto l’estate e mi metto a scrivere.
Per i racconti, la genesi, è molto più semplice.
Anonimo ha detto…
però deve essere stato bello incontrare dei giovani lettori....

:)

anche se spIntanei....
Anonimo ha detto…
sul "fornmare" e l'"educare" sono d'accordo con te..
due cose diverse che dovrebbero spettare a due soggetti diversi....

solo che sembrano due attività complicate che non vuole fare più nessuno....
e che tutti si rimpallano....
"tocca a te!
"no a te!"
Andrea Borla ha detto…
E' bello incontrarli perchè sono spontanei (e fanno anche tenerezza, quando non danno fuoco al bianchetto...).
Nota autobiografica: ricordo un incontro con un tizio dell'Asl, un medico/sessuologo che venne a spiegarci come prevenire l'aids (due ore tagliate alle lezioni).
Fu bellissimo: ci fece vedere una scheda con i disegni delle varie "possibilità" offerte dal sesso. Noi lo guardammo sgomenti: c'erano molte cose che nemmeno immaginavamo fossero possibili, oltre che piacevoli...

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