Giornali e letteratura

Era molto tempo che non sfogliavo un giornale, uno di quelli che parlano di cronaca, politica e di tutto il resto. Giro una pagina dopo l’altra, stupendomi di quante parole vengano ogni giorno incasellate per raccontare cosa succede o cosa non succede.
Mi concentro su “tutto il resto” e scopro che gran parte degli articoli parla di libri. Dovrei essere felice. Basta qualche occhiata per farmi capire che non è così.
Scorro un titolo dopo l’altro, uno sulla scrittrice alfiere dell’egotismo, che finge di narrare fatti veri, uno sulle lettere implacabili scambiate da due ex coniugi, uno sulla realtà che si trova solo nelle parole e, in ultimo, un trafiletto sulla scrittura che non si sente a causa del troppo rumore.
Dovrei essere felice dello spazio dedicato ai libri, di queste dieci pagine scarse declinate in -ura (cultura, lettura e scrittura). Eppure scopro che non me ne frega assolutamente niente.
Non mi sento parte di questo mondo, né come lettore né (ancor meno) come Aspirante Scrittore Famoso. Non è questione di snobismo o di uva troppo verde, quanto di lontananza. Leggo in maniera onnivora, forse quantitativamente meno rispetto al passato, ma comunque su livelli sostenuti. Eppure sento queste pagine così distanti dalla realtà, dai miei gusti e da ciò che potrebbe darmi soddisfazione. Mi sento estraneo e mi chiedo se il problema sia mio (inadeguatezza o limitato spessore culturale) o loro (arroccamento intellettualistico o marketing editoriale).
Resto imbambolato a cercare soluzione all’enigma. Poi vado a scaldarmi una tazza di caffè. E mi sento sollevato.

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