Alessandro Cascio – Noi sotto il sole di Santiago (Italia da leggere)

Con Noi sotto il sole di Santiago (Edizioni Historica 2010 – Collana Short Cuts) Alessandro Cascio ci porta a Capo Verde, un paradiso che, dietro a una vita apparentemente semplice e accessibile, nasconde il dramma della guerra civile e della prostituzione infantile.
Il protagonista di questo romanzo breve, Achille Teodor Cartier, è un avvocato che si reca sull’isola per seguire un’indagine sui collegamenti tra mafia e malavita locale. Innamorato di una cantante locale, Achille non potrà sottrarsi al bisogno di ritrovarla, restando così intrappolato in una rete di violenza e sopraffazione.
Nella prima parte di questa intervista, ho voluto approfondire con Alessandro Cascio l’origine della conoscenza che ha portato alla descrizione della società di Capo Verde.
I miei migliori amici sono capoverdiani e quella che chiamo "la mia seconda mamma" è la promotrice della comunità capoverdiana di Roma. Loro mi hanno dato una casa, da mangiare, affetto e amicizia quando ne avevo bisogno e con loro ho viaggiato per Capo Verde, sia fisicamente che mentalmente con le tante storie che usano raccontare. I capoverdiani sono grandi narratori anche perché hanno molto da raccontare.
Nel romanzo scrivi che i bambini di Santiago sono convinti che le coste che vedono all’orizzonte siano quelle dell’Europa, finché gli adulti non gli spiegano che sono soltanto quelle delle isole che hanno di fronte. C’è un diverso orizzonte nel futuro dei capoverdiani?
Il libro non rispecchia al cento per cento il pensiero dei capoverdiani, ma buona parte è d'accordo con me: un paese povero non deve svendere i terreni agli stranieri, ma farli pagare a peso d'oro a favore dei residenti. Solo così si può evitare la colonizzazione europea: gli hotel ai turisti, le case ai capoverdiani. I capoverdiani all'estero sono molto ben amalgamati, hanno buoni valori, non rubano o si prostituiscono e, partendo dai lavori umili, sono arrivati nell'elitè italiana come medici, ingegneri o architetti. Se bevono un sorso lo fanno in compagnia e ballando i ritmi della loro terra, per dare felicità al prossimo. Forse un giorno anche gli altri emigranti seguiranno l'esempio della comunità capoverdiana, lo spero per loro e per noi.
Anche dall’immaginazione che porta a un romanzo può nascere una sorta di mal d’Africa?
Se lo scrivi bene, sì. Se solo per un minuto a un lettore è venuta voglia di recarsi in quei luoghi, ho raggiunto il mio scopo. È un romanzo privo di plot, di solito le storie le scrivo con montaggi, ma questo è l'unico mio romanzo che ha avuto solo bisogno di tanto cuore. Per rappresentare al meglio la figura del turista ho dovuto immedesimarmi in uno stronzo italofrancese che ama bere e vuole scoparsi le minorenni, ma non è stato difficile: a chi non piace bere e scoparsi le minorenni?
La cosa migliore e peggiore che hanno detto di un tuo romanzo.
La cosa peggiore che hanno detto è: "Questo romanzo è notevole". La cosa migliore è stata scritta da una ragazza di Milano di nome Claudia che aveva dei problemi con i genitori. Leggeva una pagina del mio primo romanzo prima di andare a dormire, perché viveva sola e le faceva passare la paura di un albero che aveva in giardino. Claudia, dovunque tu sia: ti amo. Ti regalerò una motosega se mi contatterai.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sto lavorando su me stesso. Ho consegnato dei romanzi, non tutti compiuti è vero, ma dopo che ne hai ultimati quattro e hai l'infarinatura di altri tre, devi solo aspettare che arrivi un buon contratto oppure di scomparire. Del resto devi avere una vita interessante per riuscire a scrivere qualcosa d'interessante. Dopo l’uscita di "Noi sotto il sole di Santiago", il mio obbiettivo è di trasferirmi in uno dei posti in cui sono solo un numero e una volta lì, leggere e studiare sperando che qualche agente creda che io sia meglio di altri e mi piazzi da qualche parte.

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