Librarsi


"Ognuno dovrebbe avere il suo bar" diceva Andrea di In prima persona. E ognuno dovrebbe avere la sua libreria.
Me lo dico proprio oggi, il giorno della festa per la chiusura di Librarsi a Venaria. E non perché ci si accorge delle cose sempre quando è troppo tardi, ma perché a volte le consapevolezze vanno rinnovate.
Un giorno di quasi dieci anni fa, un sabato pomeriggio invernale, mi infilai in questa libreria e salii le scale che portavano al piano superiore. Mi aspettavano visi che sarebbero poi diventati conosciuti e consueti: quelli di Gordiano Lupi, di Alessandro Del Gaudio, di Fabio Beccacini. Quel pomeriggio vidi e sentii presentare la Casa Editrice Il Foglio Letterario e presi accordi per pubblicare il mio primo romanzo. 
È anche questa è la consapevolezza di oggi: se a distanza di tempo continuo a coltivare questa splendida malattia è anche merito di quelle mura e delle persone che hanno ospitato.
Poi sono venute le presentazioni, mie e di altri,  quasi sempre delle "prime" per sperimentare un nuovo copione di fronte a un pubblico amico.
Anche questo teatro chiude i battenti. I libri li ho già ritirati, i saluti aspettano la fine della serata, le lacrime le lasciamo per i lutti. Perché la vita è così. 
E visto che arrivo sempre tardi...mi accorgo solo adesso del riferimento contenuto nel nome Librarsi, un po' per i libri, un po' per l'elevazione che la letteratura garantisce. Sono tonto e lento: a volte ho bisogno di anni per vedere le cose più evidenti mentre quelle più piccole e inutili mi restano subito appiccicate addosso. Si chiama "memoria selettiva per le cazzate". O almeno credo. 
E anche in questo caso funziona così. Mi vengono in mente dettagli accumulati negli anni: la copertina di una biografia dei Metallica comprata un pomeriggio d'estate, il mio In prima persona messo su uno scaffale tra La svastica sul sole di P. K. Dick e il libro di Papa Giovanni Paolo II, le presentazioni annunciate con il gesso bianco su una lavagnetta come fosse il menù del giorno di un ristorante di riviera, un cartonato dei Barbapapà, la scritta Iveco della felpa di Del Gaudio illuminata dal flash di un fotografo mentre parlavamo del suo Aziza, i versi di una neonata che mangia attaccata al seno della mamma durante una presentazione di Di cose giuste.
Per li resto? Ci sarà ancora una sera, senza malinconie palesate e con tante malinconie represse, due passi sul selciato della piazza che, in un angolo, ospita la libreria, qualche bacio di saluto e di arrivederci. Sempre troppo pochi perché non venga la voglia di ridarne dei nuovi.

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