Torino Sette 2014

Sono anni che non leggo Torino Sette. Però mi ricordo che una volta, dopo aver pubblicato il mio primo romanzo, mandai una lettera al direttore per sapere se avessi mai potuto scriverci anch'io, avere una rubrica, fare qualche pezzo. Forse è da allora che l'ho preso in antipatia: gli scrittori rifiutati a mezzo silenzio tendono a diventare molto permalosi.
Non che mi sia passata ma... Sto prendendo un caffè e non hanno il giornale della domenica. Mi accontento di leggere La Stampa di venerdì 17 gennaio o... Alla fine scelgo "o". 
Capisco perché non ho avuto la possibilità di scrivere su Torino Sette. Nella vita bisogna ridimensionare le proprie aspettative, le proprie aspirazioni, e farle tornare a livello realtà. Per alcuni l'ascensore dell'autostima ha il tasto "piano terreno" consumato; altri sono alla ricerca di un pulsante che porti sempre più in alto, oltre l'ultimo e poi in cielo e anche più su. Io alterno le due condizioni ma oggi è uno di quei giorni da volo radente.
E allora capisco perché, perché non posso proprio. Perché non sono Tea, quella dell'oroscopo, che predice energia a grappoli per i nati in bilancia, tanta che se non verrà incanalata diventerà controproducente. Perché non ho un Pensiero Debole ma sono debole di pensiero, non faccio ridere, se devo parlare della figa dico "la figa" e non la Jolanda,i se devo parlare del cazzo non dico Valter, ma in fondo non capisco perché si debba sempre parlare di sesso per far ridere.
Perché non sono un torinese doc che fa molto nonno di Torino, o un giovane di Torino "che gli anni passano anche per lui e tanto giovane adesso non so", o uno del panorama musicale che bazzica i locali non per bere ma per lavorare: un chitarrista hippie, una pianista jazz, uno che fa "trans punk", un cantante che si chiama Joel Holmes ma io leggo John Holmes e capisco che alla fine è vero e si finisce sempre per parlare di Valter e Jolanda. Anche quando non fanno ridere.
Ma ridere è d'obbligo, persino in occasione del Giorno della Memoria perché "prima si ride e poi si parla di olocausto". Poi si parla di un pianista polacco. Poi si parla di un broker stuzzicato da una bionda coi tacchi a spillo. Poi si parla di una romanziera e professoressa torinese che non poteva mancare all'appello, e degli scrittori alle prese con la Bibbia. E mezza pagina dopo ecco un veloce passaggio contro l'omofobia, che non può mancare esattamente come la scrittrice professoressa, il nonno scrittore, l'ex giovane scapestrato libraio e autore e la comica del Valter.
Poi si parla del Gran Baloon e dei suoi banchetti e rigattieri, e dei Caffè Storici in cui spunta addirittura una cantante lirica, perché se non ti parli di Baloon e Caffè non sei di Torino: e allora cazzo vuoi scrivere su Torino Sette? Solo perché hai pubblicato un romanzo che parla di Torino, ma non di tutte queste cose, pensi di poter aspirare?
E allora vorrei essere un trans punk, uno scrittore alle prese con la Bibbia, una cantante lirica da caffè storico, un chitarrista jazz o un pianista polacco, un ex giovane, una insegnante, un anziano nonno, una comica torinese, l'ultimo degli hippie, tutto, tutto davvero, solo per vedere un mio pezzo su Torino Sette e sentirmi finalmente arrivato e conosciuto e appagato e anche un po' aspirato. Per sentirmi finalmente uno di Torino.
Poi mi giro e ascolto un brandello di conversazione proveniente da un gruppo spiaggiato sui bassi divani del caffè in cui mi sono rifugiato. "Voleva farmi leggere un noir" dice un uomo. "Una di quelle cose alla Stephen King". Noir, forse per la copertina nera. Lei non è d'accordo e dice di aver letto un libro scritto "a tre mani": si vede che uno dei due autori era monco. E poi Gramellini, Littizzetto, un insegnante che non so chi sia ma che ha pubblicato con Fandango "ma come scrittore non mi convince".
E allora capisco che Torino Sette è tutto attorno a noi. Non è poggiato sulle mie gambe: è nell'aria. E anche se vado via, pago il caffè, mi allontano quasi per distinguermi, non posso sfuggirgli: è un'ora che staziono in questo caffè storico lamentandomi della banale prevedibilità di Torino Sette, delle solite facce che non cambiano quasi fossero politici di regime, e dei caffè storici che ci circondano e assediano. Perché in fondo è tutto inutile: sia scappare che resistere. E persino pensare di bere un caffè leggendo un giornale.

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