Disoccupati a causa di Social Network

Al Convegno organizzato dai Lions su Facebook e i rischi della rete, probabilmente pubblico e organizzatori si aspettavano un intervento autorevole e approfondito da parte dei relatori. Di tutti i relatori.
Io sono andato più o meno a braccio, ho detto cose più o meno serie, ho destato più o meno interesse. Un intervento più o meno, insomma, riassunto nelle poche righe qui sotto destinate a un giornale locale.
E visto che i Social Network sono immensi contenitori che tutto fagocitano, come succede per i mieistatus di Facebook, anche una versione edulcorata e vagamente seria del mio intervento non può che finire in rete e restarci per l'eternità. Vagamente e più o meno.

La principale differenza tra Twitter e Facebook sembra essere la serietà. Capi di stato, attori, giornalisti inviano messaggi attraverso Twitter. Nessuno userebbe mai questo Social Network per scrivere "Buongiorno a tutti!" o "Oddio, domani è lunedì", o per pubblicare foto di gatti e di cibo. Su Facebook sembra invece che sia lecito scrivere o pubblicare qualunque stupidaggine. Ovviamente gli italiani usano in massa Facebook e snobbano Twitter. La cosa non mi stupisce.
Come per tutti i fenomeni sociali si finisce sempre per parlare dei casi limite piuttosto che della normalità: dalla maestra delle elementari che usa Facebook per comunicare con le famiglie degli alunni alla ragazza che pubblica foto dei propri viaggi e al ritorno si trova la casa svaligiata dai ladri; dagli utilizzatori compulsivi di pagine e giochi ai profili ormai immobili dei defunti che continuano a vivere in una eternità virtuale; dalle madri che controllano i propri figli su Facebook con lo stesso atteggiamento di chi, un tempo, leggeva il loro diario segreto alle coppie che condividono tutto sulla rete, compresa la foto del loro profilo, unica sia per lui che per lei come fossero un essere dotato di due teste.
Ai casi limite si contrappone la "vita normale" della rete. Come in tutti i luoghi sociali, anche su Facebook è indispensabile seguire una certa etichetta. I consigli più consueti e di buonsenso sono: non dare l'amicizia agli sconosciuti, proteggere la privacy delle proprie fotografie, non dire mai dove ci si trova...
Personalmente mi sono dato regole tutte mie: non scrivere più di una sola stupidaggine al giorno (a cui si aggiunge una stupidaggine random sul blog), mai accettare l'amicizia della propria madre e soprattutto evitare di pubblicare frasi e fotografie eccessivamente imbarazzanti, perché tutto quello che si pubblica in rete potrà essere usato, un giorno, contro di noi, soprattutto dalle aziende a cui presentare domanda di assunzione.

Quello che non ci sarà scritto nell'articolo? Il racconto di quella volta in cui, in Veneto, mi ritrovai nel bel mezzo di una manifestazione contro l'omofobia. I partecipanti indossavano una maglietta con su scritto "Alcune persone sono gay: fatevene una ragione". Una foto scattata per testimoniare la mia partecipazione, un foulard attorno al collo, una borsetta firmata, quattro manifestanti stretti stretti a due a due alla mia destra e alla mia sinistra, "tanto qui, a quattrocento chilometri di distanza da casa, chi vuoi che mi conosca?". E una voce che sembrava uscire dal nulla: "Ma lei è Borla? Lo scrittore? Ho visto una presentazione di un suo romanzo a Venaria!". Perché la rete annulla le distanze, ma a volte hai l'impressione che il mondo sia già piccolo di suo.
"Non mettere la foto su Facebook!" mi intimò mia madre. "Pensa se un giorno dovessi cercare lavoro! Andranno a vedere il tuo profilo e la troveranno e non ti assumeranno perché..." Non mi assumeranno perché, oltre a quella foto innocua, troveranno anche tutte le stupidaggini che scrivo sulla mia bacheca, seppur limitandomi a partorirne una per giorno. E basteranno quelle a farmi rientrare a pieno titolo nella categoria "disoccupati a causa di Social Network".


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