Le strenne dell’editoria indipendente di qualità

Sto perdendo la capacità di farmi un’opinione. Non è menefreghismo, anzi, perché sono convinto che dovrei avere un’opinione personale su ciò che mi circonda. Solo che mi arrivano troppe informazioni contraddittorie che non solo generano confusione, ma mi mettono in una sorta di posizione di stallo.
Le agenzie letterarie sono truffaldine/le agenzie letterarie sono utili; diffidate di chi vi propone una pubblicazione “facile”/sfruttate le occasioni che vi si presentano prima che sfumino; l’editoria sforna un mare di porcate/valorizziamo i prodotti di qualità… e così via con i concorsi letterari, i corsi di scrittura creativa, i manuali su come diventare Dan Brown in alternativa al giardinaggio.
In vista nel Natale, Repubblica e il suo Venerdì ci regalano un opuscolo dal titolo “In libreria – Le strenne dell’editoria indipendente di qualità”, una pubblicità in versione catalogo della Promozione Distribuzione Editoriale (PDE). Lo apro e leggo le proposte: ristoranti d’Italia, un manuale per la salute, tematiche adolescenziali, gialli, religione, politica, horror… insomma, libri per tutti i gusti e tutte le età. Tra un autore minore e l’altro spiccano anche nomi di grido, da Ray Bradbury a Camilleri, da Lansdale a Dacia Maraini.
Ormai arrivato in fondo, torno a leggere la pagina di presentazione che apre il catalogo, cosa che in realtà avrei dovuto fare per prima. E’ una lettera che comincia con Caro lettore, firmata da Roberto Cerati (seguo l’asterisco che mi conduce al piè di pagina e mi informa della sua appartenenza alla Casa Editrice Einaudi). Riassumo tagliando qua e là:
“Aprire i cataloghi degli editori indipendenti è fare un viaggio curioso e affascinante alla scoperta di libri spesso insoliti (…) lontani dall’eco della pubblicità. (…) Chi legge attentamente troverà qualche tesoro (…) non solo nel senso del repechage di capolavori dimenticati (…). Sappiamo che la maggior parte dei lettori è sensibile ai flauti di ipotetiche scoperte sensazionali (…) e non si lascia raggiungere da voci che gridano meno. (…) Sappiamo anche che è indispensabile fare credito, annusare, aprire spiragli (…) Le classifiche (…) sono strumenti massmediatici e non sempre indicano valori (…)”
Che opinione mi faccio di questa operazione? E’ lodevole perché dà risalto alle piccole case editrici? O è una mega marchetta sponsorizzata da Repubblica con il beneplacito di Einaudi? Butto via l’inserto anche solo per il tono della presentazione di Cerati (repechage non riesco nemmeno a scriverlo in Word perché mi manca la a con sopra ^ ! E poi il pluralia, i flauti, l’annusare…) o me lo porto dietro quando vado a fare gli acquisti di Natale perché do fiducia a Fanucci (fiducia e gratitudine), Bruno Mondatori e Nuovi Mondi Media? Non so dire. O meglio, non so più cosa dire. Giro le pagine, leggo e rileggo le proposte e non ne vengo a capo.
Mi fermo un attimo e cambio apparentemente discorso. Qualche sera fa, facendo zapping con il telecomando, mi sono imbattuto in una televisione locale della provincia di Torino. In un talk show a tinte un po’ scialbe, un ragazzo (non ho purtroppo capito chi fosse e soprattutto cosa facesse) commentava il fatto che nelle riviste d’arte difficilmente ci si imbatte in stroncature: sono tutte campane che suonano a festa. “Le riviste vivono di pubblicità” faceva notare “e recensiscono le mostre e gli artisti che pagano le inserzioni.” Insomma, non sputano certo nel piatto in cui mangiano.
Che sia anche questo il caso dell’inserto di Repubblica? Tanta pubblicità pagata, il bollino Einaudi e il pacco è confezionato? Oppure è un’iniziativa lodevole e coraggiosa di un gruppo di (neanche tanto) piccoli editori?
L’unica cosa certa, purtroppo, è che il clima di pacifismo natalizio, aggiunto a quello del pacifismo intellettuale, contribuisce a eliminare i pareri critici e a rendere tutti incapaci di fare le proprie valutazioni (tutti… parlo per me, naturalmente). Da un lato c’è sempre il dubbio di non essere all’altezza, dall’altra mi sembra un sintomo della tendenza del mondo globale a trasformare la realtà in opinione e ad assegnare a ogni opinione lo stesso peso.
Quindi? Quindi mi limito a registrare questo campanello d’allarme e ci rimugino su: sono diventato acritico, ma spero di guarire presto. Ciò non vuol dire che voglia restarmene passivo: tutt’altro, io voglio cercare di avere opinioni. L’unica soluzione che mi viene in mente è aspettare un altro inserto di Repubblica che mi suggerisca come fare.

Commenti

Post popolari in questo blog

Racconti?

Wikipedia: fontare o non fontare

Facebook (4) – Libertà di diffusione