Neologismi e parole che tornano. Così evolve il nostro linguaggio.

L’ho fatto per diversi anni guadagnandomi alcune di quelle occhiate che si riservano alle persone strane (dire “tutte sceme” è molto più chiaro, ma fa meno fine): ogni volta che in radio, in televisione o su un giornale sentivo una parola o un’espressione nuova correvo a segnarmela su un foglio di appunti. Alla fine di ogni anno riprendevo fuori ritagli e foglietti e scrivevo un articolo riassuntivo per un periodico della provincia di Torino. Spesso, nella vita, ci si accontenta di poco.
Ho sempre pensato che le parole costituissero un importante barometro in grado di segnalarci con un certo anticipo l’evoluzione della nostra società. Ma se si vuole rivolgere lo sguardo al passato invece che al futuro, diventano una sorta di fila di briciole di pane che segna il percorso sinora compiuto. A volte si tratta di veri e propri neologismi, altre volte di semplici espressioni. Alcune di queste, oggi, ci appaiono consuete perché sono riuscite a permeare la nostra quotidianità, anche se appena nate facevano tutto un altro effetto.
Erano gli anni del dibattito tra giustizialisti e garantisti, nascevano i buonisti e qualcuno controbatteva con i cerchiobottisti; sbarcava da oltre oceano la tolleranza zero; in politica si discuteva di maggioritario, presidenzialismo, cancellierato, correzione proporzionale al posto della più consueta correzione con la grappa. Nascevano espressioni come mucca pazza, a cui Benigni controbatteva con il più pericoloso abbacchio frocio; lo sport ci regalava la creatina, la somatostatina e l’epo; i vecchietti facevano overdose di viagra mentre noi pasteggiavamo con le prime colture transgeniche e ci preoccupavamo del millenium bug.
Roba d’altri tempi, non sembra? E pensare che queste parole potevano far nascere strani malintesi. Ricordo in particolare un episodio: in occasione del primo articolo (1995 o giù di lì) avevo scritto degli studenti impegnati a “okkupare le scuole”. L’editor del giornale aveva preso quell’espressione per un errore di battitura e l’aveva corretta con un più pacato “occupare”.
Navigando (un tempo di diceva facendo surf) sul sito de La Repubblica mi imbatto in questo articolo a firma di Luigi Romani: Neologismi e parole che tornano. Così evolve il nostro linguaggio. Nel corpo dell’articolo c’è un link al sito della Treccani dove ogni mese vengono rilevati e archiviati circa 200 nuovi termini (http://www.treccani.it/site/lingua_linguaggi/index.htm).
Mi fa piacere notare che anche la Treccani, come era capitato a me nel mio piccolo, nota che molti di questi neologismi vengono dalla cronaca, dalla politica e dal costume, più che da influenze straniere. Certo, lo dicono in maniera molto più forbita, ma si sa, è il loro mestiere. E notano anche che il vocabolario di una lingua si accresce (…) grazie alla creazione di parole nuove formate con materiale lessicale preesistente secondo le tradizionali regole di formazione.
Per alcuni termini è facile immaginare una vita molto breve (copio e incollo dal sito): altermondialista, antieuropeista, antifazista, antipartitista, buonsensista, capitalcomunista, casaliberista, cattopacifista, cieco-pacifista, codista, commonista, correntonista, crociato-sionista, crudista, dalemista, discontinuista, giravoltista, legicentrista, malpancista, margheritista, mediattivista, multilateralista, oltrista, paciguerrista, puccipuccista, retroscenista, ritirista, scontrista, socialpacifista, terzista, ultraeuropeista, zapaterista (vedi come è strana la tecnologia? Il mio Word segna tutte queste parole come sbagliate, tranne antieuropeista e ultraeuropeista: Microsoft è più avanti della Treccani? Speriamo ben di no!). Poi vengono i composti con euro- tra cui spicca eurociofeca, eurocretinata, eurofrottola, euromassone, euromelassa. E dire che una volta eravamo abituati solo a eurolandia, eurotassa ed eurotruffa. La mia espressione preferita? Puccipuccista, naturalmente!
Nel mucchio non manca il consueto sondaggio (televoto o nomination?) per conoscere l’opinione del pubblico, anche se si nota un’assenza non da poco: tra divisionalizzare e droga ricreazionale non c’è traccia dei sempre più consueti divorzi grigi tra vecchietti ancora arzilli. Sarà anche questo un segno dei tempi?
In rete:
Articolo La Repubblica
http://www.repubblica.it

Commenti

Anonimo ha detto…
ciao...ho visto il tuo messaggio sul forum di fabio e fiamma..

in bocca al lupo per il tuo romanzo allora....ho fatto anche un giro sul tuo blog...mi piace come giochi con le parole...

in bocca al lupo davvero......
fammi sapere se qualcuno risponde a qualche tua lettera (io ho risposto proprio per non essere fra quelli che non lo fanno...beh, certo, io non sono proprio il dalai lama...)
Anonimo ha detto…
Ciao,
blog interessante. Lo consiglierò molto volentieri. A futuri scambi
Rosa (Il Foglio Magazine)

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