Pubblicità

Qualche giorno fa mi sono registrato sul forum di Fabio&Fiamma, i due conduttori di una seguitissima trasmissione radiofonica di Radio2. Devo ammettere che il loro modo di raccontare e definire gli intrecci partendo da particolari quasi insignificanti mi ha molto influenzato nel mio modo di scrivere. Alcuni si ispirano a Hemingway mentre altri…
Fattostà che mi registro sul forum e scorro i messaggi. Ne trovo uno su Santa Lucia. Devo ammettere che si tratta di uno di quei casi della vita che adoro: avevo appena finito di rilegare le copie del mio nuovo romanzo (ovvero di quello che spero divenga presto il mio nuovo romanzo) e che avrei da lì a poco spedito a un tot di case editrici tanto per rinfrescarmi la memoria su quanto sia stimolante ricevere stroncature e rifiuti. Il titolo del libro è “Gli equivoci di Santa Lucia”.
Entro nel forum e lascio un post beandomi della coincidenza che, manco a dirlo, avevo salutato con felicità. Il giorno dopo trovo un messaggio di un altro utente. “Un po’ di pubblicità non fa mai male.” Ok, il sottinteso è chiaro: hai lasciato il post per farti pubblicità e, in questo modo, vendere qualche copia in più.
È difficile spiegare a chi non è del settore quanto questa affermazione sia lontana dalla realtà: la pubblicità, a meno che non sia televisiva e pesante, non serve a nulla se non è accompagnata dalla disponibilità del libro in un gran numero di librerie e supermercati. Insomma, distribuzione e pubblicità sono due elementi necessari, anche se nessuno dei due è di per sé sufficiente.
Trovare un certo libro in ogni negozio in cui si entra aumenta le possibilità che qualcuno lo compri. Questo vale per Camilleri, Grisham, King e tutti quegli altri autori che hanno già un nome: non serve la pubblicità per fargli vendere copie, ma basta la sola presenza. Se però l’autore è un emerito sconosciuto… beh, allora cambia tutto: la diffusione aiuta, ma non trasforma certo L’Anonimo Libro in un best seller. Vogliamo essere positivi? Qualcosa venderà, senza dubbio, ma non molto. Dopo un po’ ho l’impressione che quei volumi diventino materiale per iniziative come i libri al chilo della grande distribuzione.
E la pubblicità? Manna dal cielo! I periodici locali servono per avvertire le persone che conosci, arrivare ai giornali nazionali è un ottimo trampolino di lancio, lasciamo stare la radio e la televisione che sono fuori portata. Ma se poi un possibile acquirente si presenta in libreria e non trova il libro che vuole? Lo ordina? O lascia perdere? Credo che sia molto più probabile la seconda delle due, soprattutto se il libraio non è disponibile a darsi un po’ da fare. Ma ammettiamo anche che sia tutto rose e fiori e che il libro venga ordinato: perché essere pessimisti? Quando però ci si concentra sui numeri le prospettive cambiano molto: pochi leggono, meno comprano i libri (e meno male che ci sono le biblioteche!), meno ancora si rivolgono alle librerie perché trovano comodo il supermercato, un numero minore ordina libri di autori sconosciuti pubblicati da case editrice da ricercare col lanternino. Voto finale: poco meno meno meno. Il vero problema è che siamo troppo abituati alle comodità: abbiamo in casa troppi telecomandi.
Quel che servirebbe è l’unione dei due canali (sinergia è una parola orrenda), quello pubblicitario e quello distributivo: parlano del mio libro e lo trovano nelle librerie e nei supermercati. Semplice, no? Ma per ottenere questo risultato bisogna inserirsi all’interno di ingranaggi mastodontici fatti di salotti televisivi, industrie della carta, comparsate in programmi di diverse fasce orarie e di pubblico. Oh, mica possiamo essere tutti Vespa o Baricco? E poi, permettetemi, da un certo punto di vista… meno male che non siamo tutti Vespa o Baricco.

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