Ho scritto a Gabriele Ferraris

E allora volevate che non scrivessi al Direttore di TorinoSette? Nello stesso articolo che citavo qualche giorno fa ha anche denunciato quanto sia assurdo che a Torino le librerie chiudano i battenti mentre il Salone del Libro spopola. Bene. Però… però.

Alla Redazione di Torino Sette
Alla cortese attenzione di Gabriele Ferraris

Ho ripreso in mano dopo alcune settimane il suo articolo intitolato “La voglia di leggere” recentemente apparso su Torino Sette.
Credo non si debba incorrere nel rischio di confondere il Salone del Libro con qualcosa che abbia a che fare con i libri. I visitatori che si sono accalcati al Lingotto erano solo in parte attratti dal contenuto: per molti era l’evento a farla da padrone. L’evento era legato ai libri, ma questo, spesso, da considerarsi un puro accidente.
C’è chi ha partecipato per il gusto di partecipare, per poter rispondere a chi, in ufficio, sul tram o per strada, lo stuzzicava con la solita domanda: sei andato al Salone? Chiusi i battenti della manifestazione il ritornello è diventato “hai visto il Codice da Vinci?” ma la sostanza non è cambiata di molto.
Non credo, quindi, che crisi delle librerie e successo del Salone costituiscano una contraddizione in termini: sono semplicemente due mondi da tenere completamente separati.
Ammetto che la mia opinione sul Salone non è allineata al pensiero comune. Se non vado per le piccole case editrici, escluse o tenute ai margini del circuito distributivo, se non assisto a una conferenza o a un incontro con l’autore, se non cerco quindi un motivo che esuli dal mero acquisto dell’ennesimo libro del periodo che potrei benissimo trovare al supermercato vicino casa… scopro di non avere molti motivi per pagare il biglietto. Oltre che per l’argomento di conversazione, ovviamente.
Oppure ci vado per comprare un prodotto, magari attirato da una cornice diversa e più invitante. Un prodotto, non un libro. Il Salone è un evento commerciale, oltre che incidentalmente culturale: la gente va per comprare, come d’altronde le Case Editrici stampano libri per vendere, gli standisti sono pagati per attirare i clienti e così via. È un dato di fatto che non dobbiamo far finta di dimenticare nascondendoci dietro il dito della cultura: l’happening attira e il pubblico acquista. È un plusvalore che le librerie non potranno mai avere, un gap incolmabile a loro sfavore.
Vorrei tuttavia proporle un’altra considerazione. Se siamo parte integrante di un sistema che trasforma il libro in prodotto e il libraio in un commesso non credo possiamo lamentarci che la gente legga poco e che manchi la cultura del libro. Manca eccome, ma tanto a monte, in chi dovrebbe pubblicare opere e non prodotti, quanto a valle, in chi dovrebbe leggere, e cercare di farlo scegliendo i titoli con uno spirito non da supermercato.
Forse è questa la vera sfida di Torino Capitale del Libro: trovare la via che ci faccia tornare al libro come opera, un concetto che sta un gradino al di sopra delle storielle a cui credono solo i bambini e uno al di sotto dell’utopia. È un pensiero un po’ troppo romantico per il mondo di oggi, lo ammetto, ma l’alternativa è trovarsi periodicamente a lamentarsi di un problema che non contribuiamo a risolvere. Certo, la scelta è dura: i due estremi del mondo editoriale paiono essere Baricco e i Soliti Nomi da un lato e Melissa P e il solito “trash che fa tendenza” dall’altro. Districarsi in mezzo a questi poli sembra quasi impossibile.
Una strada può essere cercata nel variegato mondo delle piccole case editrici che si muovono tra ristrettezze economiche e distributive. Sono quelle che per molti contribuiscono unicamente a creare l’aspetto folkloristico del Salone e che vengono generalmente snobbate dalla maggioranza delle librerie. Potrebbero tuttavia essere loro a farci uscire dal paradigma Torino-libri-Baricco. Mi permetta di aggiungere a questo pensiero un finalmente piuttosto liberatorio.
La ringrazio per l'attenzione e la saluto cordialmente.

Commenti

Betty ha detto…
Io sono una malata per la fiera del libro proprio per le case editrici minori. Vado volentieri alla fiera e anche quest'anno mi è piaciuta per l'uso personale che ne faccio (occasione sempre più rara di svago e acquisto di testi scolastici). Ci sono andata anche con i miei alunni e la cosa mi ha deluso: devi prenotare mesi prima i laboratori di attività per i quali non trovi posto, devi fare mille telefonate per poi sentire la lettura di una paginetta unita ad un commentino stitico. E poi i laboratori sono in mezzo al caos: i bambini si perdono, non sentono e tu hai il cuore in gola. Il prossimo anno, meglio fare un giro delle librerie storiche, così non si perdono, non facciamo code, non mangiamo per terra e non contribuiamo ad un successo della fiera in termini di quantità piuttosto che di qualità dei servizi reclamizzati.
Anonimo ha detto…
ero io! Nessun errore!
mi ricordo di te... certo!
se ripenso al calore che ho trovato a torino a dicembre... mi sembra di rivivere un sogno. tanta brava gente e un calore tipico della mia Sicilia.
un saluto... ancora + caldo... perchè non so se ci sono 30 gradi... ma quasi!
Anonimo ha detto…
Un po' come quando io ho scritto a Tutto Libri i merito a un articolo su Melissa P., quando l'idiota di turno criticava i "giovani autori italiani" perché passavano più tempo a grattarsi la pancia che a scrivere qualcosa di decente. Al che gli avevo fatto notare che se a loro il panorama italiano dava quell'impressione era solo perché non facevano niente per recensire gli autori delle piccole case editrici e non sapevano neanche chi fossero. A volte tutta questa gente che bazzica ai piani alti dovrebbe tornare sulla terra e scoprire come veramente stanno le cose, invece che scimmiottare.
Andrea Borla ha detto…
Purtroppo non si riesce più (ci si è mai riusciti?) a far capire alla gente che esiste un "giro ristretto" di persone/aziende che governa il mercato editoriale. Al di fuori di quel "giro" c'è il deserto o poco più.

E la cosa divertentissima è che gli stessi componenti del "giro" si lamentano di una condizione che hanno contribuito loro stessi a creare: il salone del libro, la chiusura delle librerie che si sono trasformate in negozi uguali a tanti altri, la mancanza di promozione o considerazione per gli autori.

Ma com'è che nessuno parla più di "autori emergenti"? O sei emerso o non esisti. Questo è un tema su cui vale la pena ritornare.

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