Parole estive

Prima di andare in vacanza ho scritto un articolo per un giornale locale, un viaggio nelle parole che ho visto nascere e scomparire nei primi sei mesi dell’anno. Non faccio nemmeno in tempo a tornare dalle vacanze che già mi rendo conto che mi toccherebbe fare un altro aggiornamento, in una gara già persa in partenza e giocata su un inseguimento impossibile da portare a termine.
Secondo l’Unesco metà delle lingue del mondo è in via di estinzione. Le cause sono da ricercane nella globalizzazione dei traffici e delle merci e nell’imposizione della cultura dominante da parte di un ristretto numero di paesi. L’italiano, dice il cronista di turno, non soffre di questa malattia. Sicuri? Non sarà a rischio di sparire dalla faccia della terra, certo, ma anche le sue evoluzioni sono decisamente discutibili. Basti pensare che vinciamo il mondiale e già giornali e tivù si dividono tra pro e contro all’Italia tamarra, caciarona e gattusa dei festeggiamenti forse eccessivi dei nostri giocatori. Gattusa? Ma non sarebbe meglio pensare seriamente all’estinzione?
Scena: autogrill sulla via del rientro dal viaggio estivo in Francia. Un italiano si avvicina alla cassa e chiede, scandendo le parole a una a una: “vorrei… un… tè… caldo.” La cassiera lo guarda con un’espressione interrogativa. “Vorrei… un… tè… caldo” ripete. La signora azzarda “un caffé decaffeiné?” “Non proprio” penso. La parte buona della mia coscienza mi spinge a intervenire, mentre quella cattiva continua a sussurrarmi “fatti gli affari tuoi, fatti gli affari tuoi.” Alla fine vince la prima delle due. “Un tè chaud” dico ad alta voce. La signora mi sorride e prepara l’ordinazione. Peccato che nel caos dell’autogrill abbia scambiato il mio “tè” per “lé” (lait) e stia preparando un latte caldo. Si accorge dell’errore solo quando consegna il bicchiere all’italiano. Dopo qualche minuto il tizio mi passa vicino e, pensando che non lo capisca, commenta con un suo amico “Ao, guarda ‘stimbecille che mmaffatto sbaglià l’ordinazione!”.
Eppure, nonostante tutto, il made in Italy riusciamo sempre a esportarlo, anche nei luoghi più improbabili che ci possano venire in mente. Un tempo era al fondo della classifica degli stati dell’Europa, mentre oggi l’Irlanda sta ampiamente recuperando, anche grazie alla presenza di numerosi imprenditori italiani che hanno deciso di investire nel paese del trifoglio. Gli chiamano irlandiani e devo ammettere che, nonostante tutto, è un termine che mi piace molto. Se penso che i francesi ci chiamavano macaronì
E tanto per finire in bellezza, ho sentito una radio distinguere, in merito allo scandalo su servizi segreti e rapimenti di veri o presunti terroristi, tra posizioni pro-SISMI e anti-SISMI. I terremoti, commossi, ringraziano.
E che dire della gogna mediatica e della bulimia di intercettazioni? Di cosa parlavamo prima? Ah, di estinzione. Giusto. ‘Anvedi ‘stimbecille che vuole estinguere ‘a lingua’mmadre, ‘anvedi!

Commenti

Anonimo ha detto…
Già, "irlandiani"...
Ti consiglio:
Giovanni Adamo, Valeria Della Valle, 2006 PAROLE NUOVE, Sperling & Kupfer, ehm... 22.00 euro...

e la prossima volta, sì, fatti i caxxi tuoi... :)
Andrea Borla ha detto…
E' il tredicesimo comandamento, quello che dovremmo ripeterci tutti ogni mattina al nostro risveglio. Poi c'è il problema della coscienza, del Buon Samaritano... Ma mi chiedo se non sarebbe meglio non avere proprio una coscienza e sparare al Buon Samaritano.
Anonimo ha detto…
anvedi st'imbecille che....ride di nuovo....

chi si fa l'affari sua, si dice a roma campa cent'anni...

io credo che morirò mooolto prima...
Andrea Borla ha detto…
E' vero, è vero. Me la sono cercata. Non andrò mai più in soccorso delle vecchie signore che vogliono attraversare la strada. Anzi, le fotograferò mentre vengono investite!

Sadico!

Adoro essere sadico!

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