Doris Lessing

Sollecitato da un anonimo commentatore, faccio un passo indietro e torno al Nobel per la letteratura, assegnato quest’anno alla scrittrice Doris Lessing.
Rispondendo a quei commentatori che hanno sostenuto che le ragioni per scegliere a chi assegnare il premio derivano soltanto da valutazioni politically correct, Doris Lessing ha pubblicato un articolo sul NY Times ripreso da La Repubblica del 17 ottobre scorso.
Il suo ragionamento prende forma dall’analisi del rapporto tra comunismo e linguaggio, che la Lessing considera malsano e anestetizzante. Il primo elemento negativo che evidenzia è da ricercare nella funzione stessa del linguaggio: l’intento comunicativo è posto in secondo piano, cosa assai strana per una voce di regime, mentre frasi e parole paiono concepite esclusivamente per occupare il maggior spazio possibile, senza tuttavia dire nulla di significativo.
E il secondo elemento è una diretta conseguenza del primo: le idee possono essere espresse con forza solo attraverso un linguaggio appropriato.
Credo tuttavia che queste considerazioni si possano fare anche per il mondo non comunista: il nostro, occidentale nella geografia e nella concezione, che si presenta come del tutto speculare a quello (un tempo?) presente oltre la cortina di ferro, parla con parole non troppo diverse, con significati che sfumano e cambiano di giorno in giorno, con un linguaggio che anestetizza coscienze e intelletti.
La seconda parte del discorso si sposta invece sui contenuti dell’opera letteraria, che viene definita imprevedibile, non-conformista e spesso scomoda. Doris Lessing spiega che l’errore che più frequentemente si fa è di chiedersi o pretendere che un romanzo o un racconto sia “su” qualcosa, che tratti uno specifico tema.
In questo caso mi sento di fare un distinguo, senza per nulla voler sminuire le opinioni di un premio Nobel: a volte in un romanzo “si parla di…”, a volte le definizioni stanno strette. Semplicemente, dipende da caso in caso. E in più c’è da considerare che al mercato piace appiccicare su tutti i prodotti un’etichetta che contribuisca a guidare e semplificare il più possibile il comportamento del consumatore. E ai consumatori piace essere rassicurati da etichette di questo genere. Poi, certo, è difficile, oltre che ingiusto, liofilizzare un romanzo nello spazio limitato di un’etichetta. Difficile, ingiusto, ma pur sempre possibile.
Un personaggio di un mio romanzo (ancora inedito) chiede consiglio a una bibliotecaria prima di regalare un libro. La risposta è lapidaria: “scegli quello che vuoi, basta che non sia riassumibile in una sola frase.”
Eppure, il linguaggio anestetizzante, comunista o occidentale, ben si sposa con la liofilizzazione delle idee. E la liofilizzazione delle idee, politically correct o meno, non ha bandiera o colore.

Commenti

Anonimo ha detto…
confesso la mia ignoranza aprendo i commenti a questo post:
non ho mai letto doris lessing...

devo rimediare...prima o poi...

sulla liofilizzazione delle idee e dei concetti, mio caro, siamo nel mondo del fast food, dove per food si intende tutto ciò che si può consumare e, fra le cose che possiamo cnsumare, mi pregio di elencare cibo, cultura, affetti, sentimenti...
tutto veloce, tutto drammatizzato, tutto estetizzato, tutto...di plastica...

bu
Betty ha detto…
ormai si liofilizza tutto perchè si è provato tutto. Le etichette servono per non perdersi. Sul fatto che un romanzo debba essere su qualcosa... bo, penso sempre al concetto di opera come creazione pura, esplosione dell'intelletto al di là di forme predefinite.
non ho mai letto doris lessing.
mi viene in mente una frase: i professionisti hanno creato il Titanic. I dilettanti l'arca di Noè... Secondo me liofilizza molto il concetto di cultura.
Andrea Borla ha detto…
@La gatta: non è questione di ignoranza, ma di età: non credo che molti della nostra generazione abbiano letto i suoi libri. Mi sono ripromesso di farlo, almeno con quelli più interessanti.

Sì, viviamo in un fast food, e il fast food ci tranquillizza molto. Il Big Mac è uguale ovunque: non ci mette di fronte a nuove scelte, non ci fa dubitare di ciò che siamo o vogliamo. E' semplice. Questo è il concetto fondamentale: tutto deve diventare semplice per essere fruibile.

@Betty: giustissimo: le etichette servono per non perdersi. Altro che pezzettini di pane per ritrovare la strada che ci riporterà a casa! Pezzi di plastica non riciclabile...

Naturalmente parlo da fruitore di etichette: nelle librerie vado dritto verso la colonna del "fantasy", poi guardo il resto.

@Tutte e due: La Gatta dice "bu". Betty a metà dice "Bo". A me non resta che chiudere con un "Ba!"
Anonimo ha detto…
io sono della generazione che ha amato molto lessing e la sua mamma zucchero
Andrea Borla ha detto…
Allora ci deve parlare un po’ della Lessing e soprattutto consigliare qualche titolo.
Unknown ha detto…
sarà che sono (professionalmente) parte in causa, ma credo che la narcosi da iperlinguaggio sia in gran parte legata al bisogno vitale dei media moderni (radio/TV) di ignorare il Silenzio.
Come musicanti olistici che credono che l'arte consista nel regalare alle orecchie altrui il maggior numero di suoni/minuto, anche chi parla (e scrive) spesso lo fa avendo questo riferimento linguistico. E con i disastrosi risultati che tutti conosciamo.
Ogni tanto bisognerebbe ricordare gli antichi (Greci) e sapere che se abbiamo una bocca e due orecchie è perchè dovremmo ascoltare il doppio di ciò che diciamo......
Unknown ha detto…
la "liofilizzazione delle idee" è uno dei presupposti del comunismo e dell'ideologia in generale. infatti soltanto liofilizzando le idee queste sono comprimibili in una singolarità pneumatica che è poi possibile definire "ideologia".
ciò costituisce anche una delle ragioni per cui le ideologie sono finite: quando si è riusciti a forare la sottile membrana che conteneva la singolarità pneumatica tutte le idee liofilizzate al suo interno sono "scoppiate", e fuoriuscite, come l'aria da un palloncino bucato. si sono in altre parole autonomamente de-liofilizzate, tornando al loro stato di complessità iniziale. proprio perchè non è possibile mantenere le idee compresse e liofilizzate per troppo tempo: inevitabilmente tendono a decomprimersi, a de-liofilizzarsi, non appena vengono mancare i presupposti per la tenuta della membrana che le tiene compresse.

un'altra conseguenza della liofilizzazione delle idee è l'eccessiva semplificazione (artificiale) delle stesse ideologie che le contengono, e che sono costrette a plasmarle a loro piacimento per poterle incastrare l'una con l'altra in una struttura ideologica che non può, e non deve, complicarsi troppo, pena la perdita di appeal. liofilizzare le idee è pertanto un presupposto immancabile per la costruzione di un'ideologia che, per quanto complessa possa essere, non è mai in grado di contenere al suo interno tutta la complessità delle idee di cui è composta. ed è così che le ideologie nascono, e poi inevitabilmente muoiono, perchè semplificare (o liofilizzare) le idee non significa in realtà modificarle, ma modificarne la percezione che si ha di esse. percezione che prima o poi svela la sua macchinosa incompletezza, facendo crollare il castello di sabbia che vi è stato costruito sopra.
Andrea Borla ha detto…
@Marco Bena: la narcosi da iperlinguaggio sia... legata al bisogno vitale dei media moderni (radio/TV) di ignorare il Silenzio.

Credo proprio di sì. I media non informano più ma intrattengono, e hanno trasformato l'intrattenimento in qualcosa che instupidisce (quindi, se la reazione a catena continuerà, tra un po' anche l'informazione instupidirà). E tutto per non farci affrontare il silenzio. Capisco che l'esperienza del silezio sia dolorosa, ma è anche l'unico contesto in cui l'uomo può pensare di crescere e di affrontare e conoscere se stesso. I media, e più in generale la società, non vuole lasciarci crescere?

@Marco C.: liofilizzare le idee è pertanto un presupposto immancabile per la costruzione di un'ideologia...

...che poi finisce inevitabilmente per "esplodere" proprio perchè le idee liofilizzate tendono a "gonfiarsi". Il tuo ragionamento è interessante, soprattutto perchè vale non solo per le ideologie, ma anche per il mondo "moderno" (globalizzato) in cui siamo inseriti.
La globalizzazione è una nuova ideologia? O è un'anti-ideologia che ha colmato il vuoto lasciato dalla scomparsa delle ideologie?
Unknown ha detto…
secondo me la globalizzazione non può essere considerata un'ideologia. perchè le ideologie spesso nascono a tavolino (o comunque artificialmente) nel tentativo di dare organicità ad un pensiero complesso (che, per essere compreso in una struttura organica, viene perlappunto semplificato, come si diceva poc'anzi). mentre la globalizzazione è un processo spontaneo, derivato da una necessità e dall'insieme delle soluzioni trovate dall'uomo per fare fronte a tale necessità. in questo senso la globalizzazione non può essere considerata un'ideologia, anche se talvolta lo diventa quando ne si estrapola il senso/significato dalla realtà economica globale per farne un concetto astratto.
Andrea Borla ha detto…
Ci ho provato. Ho preso in biblioteca "Il taquino d'oro" e ho letto venti pagine. No ce l'ho fatta: ho lasciato perdere. Mi era capitato davvero con pochi libri, e mai con uno di un premio nobel. Alla fine ho preso un libro su Vasco Rossi e l'ho letto tutto di un fiato. Ognuno ha i suoi antidoti. E i suoi limiti.

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