Mano... scrivere

Mi si è rotto il pc portatile. So che non è una grande notizia, però… Di solito, alla sera, scrivo con il notebook appoggiato sulle ginocchia, preparo i brani che copierò e incollerò sul blog, metto giù articoli, appunti per racconti, recensioni… Come faccio senza pc? O lascio perdere, o torno a prendere in mano carta e penna.
Mi accorgo che è dai tempi della scuola che non scrivo a mano. Sulle prime mi sento decisamente arrugginito, quasi anchilosato. Eppure mi appare subito chiaro che non si tratta né di un problema di calligrafia né di meccanica. È che i pensieri corrono più veloci della penna. Sono costretto ad arrancare, a cercare di fissare i concetti prima in memoria e poi a cristallizzarli ricorrendo alla scrittura. Quando uso il pc, le mani battono velocemente e seguono il pensiero quasi con simultaneità, accendendo i pixel dello schermo. Al contrario, il filo tracciato sul foglio è sempre in costante ritardo, e questa apparente deficienza mi fa sentire lento e impacciato, quasi mi fossi ritrasformato in un bambino delle elementari che sperimenta la scrittura per la prima volta.
E allora mi ingegno: ricorro alla stenografia per risparmiare tempo, abbrevio le parole, strascico i segni, allungo le finali. Nulla: il segno è ancora troppo lento.
Mi chiedo come facessero a scrivere i grandi romanzieri dell’epoca pre-computer, gli autori di interminabili foietton ottocenteschi, o i loro predecessori. Li vedo ingobbiti su fogli appoggiati sui tavolini dei bar in stile francese, con un angolo costantemente ritagliato per il bicchiere di turno. Come riuscivano in quella che a me pare un’impresa sovrumana? Io scrivo solo perché la tecnologia corre in mio aiuto, perché mi permette di correggere, tagliare, mettere ordine. Francesco Guccini ha dichiarato che si è messo a scrivere, nonostante la riluttanza ad avvicinarsi al pc, solo per gli indubbi vantaggi dell’utilizzo di questo strumento. Sottoscrivo pienamente.
Mentre mi avventuro con carta e penna vengo colto da dubbi sull’ortografia: certe parole mi appaiono strane e mi fanno tentennare. Eppure so come si scrivono. Perché adesso mi stupisce la loro articolazione? Cosa ha cancellato la mia sicurezza? Mi accorgo che il pc mi ha sempre aiutato anche in questi frangenti: è un mezzo per evitare svarioni di varia natura, un eccesso di i o la mancanza di doppie, tanto per non provare l’eb(b)rezza dell’errore.
Eppure, scrivere come una volta, è terapeutico. Fa tornare la mia attenzione sugli elementi base della scrittura, sui segni, sul significato, sugli spazi che nel foglio vengono riempiti non solo in orizzontale, ma anche in verticale, tra una riga e l’altra, sul bordo, con rimandi alle pagine dopo, con un *, o quando non basta ** o addirittura ***.
Non so se eleggere a momento di grazia questa mia nuova condizione di orfano dell’informatica, promuovendola a rinnovato stile di vita. Forse dovrei andare controcorrente e, nell’era della velocità, riscoprire penna e foglio. Ma sarebbe davvero sostenibile per un disordinato cronico come me? E poi sarei comunque costretto a riportare tutti i testi sul pc, a raddoppiare il lavoro, perché articoli, recensioni, libri vanno stampati o pubblicati e, oggi, nessuno accetterebbe mai e poi mai un manoscritto tradizionale. Sì, perché anche la parola manoscritto ha mutato di significato: è sempre il frutto di uno sforzo manuale, ma in cui la calligrafia è sostituita dalla diteggiatura e, soprattutto in cui la stampa ha preso il posto della scrittura.
D’altro canto se compissi davvero questo passo indietro, dal sapore nostalgico, non diventerei improvvisamente moderno, proprio perché controcorrente?
Glisso su questo dubbio e mi concentro su questioni ben più concrete: se scrivessi a mano, non sarebbe il mondo editoriale a chiedermi di rientrare nei ranghi, a ricordarmi che ci sono altre logiche da seguire e assecondare, altre velocità a cui adeguarsi? Dopo tutto siamo nel Nuovo Millennio, non più nell’Ottocento.
E allora non mi rimane che riservare carta e penna per le cose più intime, quasi meditative, per quei rari esperimenti di poesia a cui ogni tanto ricorro per fissare pensieri e impressioni. Oppure per vergare domande irrisolte e opinioni stentate sul mio diario da eterno adolescente. Il diario? Da tempo è andato in soffitta anche quello, insieme ai libri di scuola, ed è stato sostituito dal blog, uno strumento che non poggia più le fondamenta né sulla penna né sulla riservatezza dei contenuti. E allora non mi resta che prender atto che la scrittura non ha cambiato mezzi solo per comodità, ma per una necessità a dir poco epocale. E con questo rassegnarmi all’idea.

Commenti

Anonimo ha detto…
io scrivo con il computer, ma anche a mano.
ho sempre con me un taccuino, sul quale afferrare pensieri volanti, una penna per fissare un'idea, una sensazione, un ricordo.

certo, la tastiera mi dà velocità, mi permette un labor limae che la carta mi renderebbe così piu' difficile...
ma i fascino della carta, della penna, il dolore al dito che ti fa fermare, lo sguardo perso a inseguire un pensiero fuggevole, la tastiera non ne è capace.
lei ha il copia e incolla...
Anonimo ha detto…
...e quelli che dettavano i loro scritti ad infaticabili amanuensi?
è vero, il pensiero corre piu' veloce della penna, ma qualche volta è bello fermarlo questo pensiero...
Andrea Borla ha detto…
(Paleso la mia ignoranza classica e quindi svelo a tutti che ho dovuto cercare con google "labor limae" prima di rispondere. Tra l'altro, fatelo anche voi, così vi imbatterete nel mitico blog: istericotuareg.blogspot.com. Isterico Tuareg?!?)

Non sai quante volte ho dovuto impersonare quello a cui vengono dettati gli scritti! Scena: America, inizio 900, emigranti italiani che vogliono scrivere a casa per far sapere come stanno, banchetti posti agli angoli delle strade a cui sono seduti moderni scribi che traducono i pensieri in scritti e magari aggiustando i pensieri semplici e raffazzonati delle persone che ricorrono ai loro servizi. Ecco, spesso mi sento proprio così. E non sai quanto spesso.
Betty ha detto…
Io scrivo con il computer, ma non sono velocissima. I racconti vhe mi vengono meglio li scrivo a letto con penna o matita e taccuino. Poi quando li ricopio mi viene il nervoso. Però catturo meglio le idee con la bito o la stilografica (penna a sfera per essere precisi). Hai scritto un post interessante che offre diversi spunti di riflessione. Dico così perchè lavorando nella scuola ho a che fare con penna e carta tutti i giorni e soprattutto con le difficoltà manuali dei bambini ad essere ordinati, a far corrispondere fonema e grafema.
troppa modernità ucciderà la motricità fine? Mi chiedo.
di fatto adoro scrivere in perfetto corsivo alla lavagna: mi sento molto importante...
Andrea Borla ha detto…
@Betty: Prima il "labor limae", poi il fonema e il suo amico grafema: oggi mi volete veramente male! ;)

"Hai scritto un post interessante che offre diversi spunti di riflessione."
Prima reazione: adorazione.
Seconda reazione: ma allora i post precedenti...

"adoro scrivere in perfetto corsivo alla lavagna"
Non riesco a tenere una penna in mano, figuriamoci un gesso! Ricordo che i miei geroglifici alla lavagna diventavano ancora più incomprensibili. La mia non è questione di sentirmi molto importante: mi sentirei decisamente impotente! Le mani che sudano, il gesso che produce suoni terribili, io che mi sporco di bianco, i segni stentati... un disastro! Meno male che la lavagna (per me) è un ricordo del passato remoto!
Betty ha detto…
quanti ricordi ho risvegliato in te con la lavagna! Comunque nelle aule ce ne sono anche di cartone con i pennarelli puzzolenti che ti fanno venire mal di testa. io preferisco i gessi, ovvio.
poi: non sono brutti gli altri post... è che a volte non so cosa dire perchè sono intellettualmente impegnativi ed io sono intellettualmente ignorante. Sigh!

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