Franco Loi

Sfidando l’apatia del sabato mattina, una settimana fa mi sono mescolato al pubblico di un concorso di poesia. Accanto alle opere dei partecipanti, il comitato organizzatore ha deciso di premiare, anno dopo anno, un poeta di fama nazionale. Sabato è stata la volta di Franco Loi, molto conosciuto per le sue opere in dialetto milanese.
Nel suo discorso Loi ha trattato temi importanti, soffermandosi soprattutto sul significato della poesia come azione non tanto del racconto quanto del lasciarsi raccontare, sull’estraneità di questo mezzo di espressione rispetto al semplice parlare di cose che sappiamo ricorrendo a immagini e forme conosciute, sulla differenza tra la ragione, che tratta della quantità delle cose, e la poesia che si sofferma invece sulla loro qualità.
Ho sempre sostenuto che la vera forza della poesia stia nella trasformazione delle parole in suoni che si staccano dal loro significato, non svuotandosi ma acquisendone uno nuovo e più incisivo. Sentire Loi recitare versi in milanese, una lingua per me quasi incomprensibile, ha dimostrato che la poesia (quando è buona poesia) possiede la forza di coinvolgere e far vibrare le corde dell’anima a prescindere dalla lingua utilizzata.
Mentre ero comodamente seduto tra il pubblico, ad aspettare che venissero premiati i vincitori del concorso, mi è venuto in mente un aneddoto del mio passato di presunto aspirante poeta.
Quinta superiore. La redazione del giornale scolastico dell’istituto (tecnico) che frequentavo bandisce un concorso di poesia. Vuoi non partecipare con un componimento in quartine a rime alternate scritte più a orecchio che seguendo la metrica? “Ballata per un dramma consueto” era il titolo fresco e ben augurante che avevo scelto per l’occasione. Manco a dirlo, arrivai primo. non credo per bravura ma, molto più probabilmente, per assenza di concorrenti.
Le copie del giornalino vennero distribuite nelle classi e arrivarono anche ai miei compagni, ignari della mia vittoria visto che avevo firmato il componimento con un sibillino S.F.G. “Certo che ha vinto questa!” esclamò una voce alle mie spalle. Il motivo? “Guarda quanto è lunga in confronto alle altre!”
Ungaretti ringrazia commosso.

Commenti

Anonimo ha detto…
Ahahahaha. Povero piccolo.
Patty ha detto…
S.F.G. Scrittore famoso giovane?
Andrea Borla ha detto…
@Kinda: sì, è stata una vera mazzata. E pensare che era la prima volta in cui vincevo un concorso...

@Patty: no, molto più cervellotico. Il pezzo suonava come una ballata, struttura classica delle canzoni di Francesco Guccini. Un verso parlava anche di "gatti e poeti", citazione proprio della sua canzone "Via Paolo Fabbri 43". Quindi avevo pensato di firmare F.G. Ma, visto che "Canzone per un'amica" è anche conosciuta come "Canzone per S.F.", è venuto fuori S.F.G. (S.F. + F.G.)

Ok, è un ragionamento da psicopatici, lo ammetto.

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