Daniel Pennac (2)

Avevo detto che si sarei tornato. E così ho fatto. Non si può lasciare a metà qualcosa che si è cominciato con così grande impegno. E allora eccomi di nuovo nella libreria del centro di Torino, quella con le poltroncine per i clienti che vogliono sfogliare in tutta tranquillità i libri prima di comprali, a terminare la lettura di Diario di scuola di Daniel Pennac.
La prima volta ne ho letto una buona porzione, poi il resto in due tranches. Entrambe le volte mi hanno fatto compagnia giovani e signori attempati, tutti intenti ad ammazzare il tempo, tutti in attesa di qualcosa. E non è Godot, come si evince da un paio di frasi rubate al telefono. “Sì, sono in libreria. Ma lì non ci eri già stata? E quanti profumi devi comprare?” o “Fa lo stesso: l’importante è che poi non ti lamenti che la gonna è troppo corta o troppo leggera”. Tutti nella stessa barca.
Ma torniamo a Pennac, questa volta non più bambino ma già divenuto professore e scrittore di successo. Si stupisce di quante domande gli rivolgano gli studenti delle scuole sulle parolacce contenute nei suoi libri. E in effetti è vero: veder scritto cazzo sulla carta stampata fa un effetto ben diverso dal pronunciare, con leggerezza, la stessa parola nel quotidiano. Riconosciamo al libro una certa sacralità ed elevazione culturale, che non può essere incrinata da sconcerie come stronzo o vaffanculo. Poco importa se poi ci mandiamo tranquillamente al V day ogni due per tre.
In effetti, però, la stessa cosa è capitata anche a me: “Ho letto il libro di Andrea” disse sottovoce una signora attempata ai tempi di In prima persona. “Bello, però... quante parolacce!”
Due pagine deliziose sono quelle dedicate ai problemi della scuola, alle cause, ai colpevoli, alle scuse che questi accampano per non risolverli. Altrettante quelle che ricordano l’espulsione da scuola dell’autore del libro. Il professore di scienze redarguisce la classe che, nella sua interezza di ben trentadue allievi, non supera il due di media (!!!) nella sua materia. “Chi può spiegarmi il motivo?” urla. Chi, se non Pennac? “O noi costituiamo una mostruosità statistica, o lei è un incompetente”. Espulso alla velocità della luce. “Molto coraggioso” gli disse il compagno di banco “ma del tutto inutile. Sai che differenza c’è tra un professore e un utensile? Che l’utensile lo puoi riparare”. Qualcosa mi dice che la stessa similitudine valga anche per un bel po’ di altre categorie.
Interrompo la lettura perché, improvvisamente, mi sento come il profeta che invoca la salvezza per Sodoma e Gomorra: “Salvali, Signore, se nelle due città troverai almeno cento giusti”. “Va bene” rispose il Signore. “Però, Signore, se proprio non saranno cento ma solo cinquanta…” “Vada per i cinquanta” ribatté il Signore ricorrendo a un gergo molto moderno. E così via fino a un-solo-giusto. Oggi ho deciso che comprerò il libro se ci troverò dentro almeno cinquanta belle pagine. Ma anche trenta. E venticinque? Ok, ma non meno di venti. E a quel limite (purtroppo) non ci sono arrivato, nemmeno con la descrizione dei cinque sono i tipi di bambini che, Pennac, individua nel mondo: il bambino consumatore della nostra società, quello con cui si devono confrontare maestri e professori, il bambino produttore, il bambino soldato, il bambino prostituto e, infine, il bambino rappresentato sui cartelloni e sulle pubblicità che vediamo ogni giorno e che sollecita, per qualche frazione di secondo, la nostra coscienza inaridita. Sodoma e Gomorra non furono salvate.
Arrivato all’ultima pagina, dopo aver riposto il libro nel mucchio da cui l’avevo sottratto, quasi mi sento colpevole di un non ben identificato reato contro l’umanità. Ho letto un libro a scrocco. È immorale, anzi, peggio, è un peccato, e come tale merita una penitenza. E a questo se ne aggiunge un altro: nell’ultima bozza di Cerchi, il mio prossimo libro, ho eliminato una citazione tratta da “Il paradiso degli orchi”: mai scommettere sulla promessa del piacere. Due peccati al prezzo di uno.
Così, prima di uscire dalla libreria, ho comprato una copia (in economico) di Fight Club di Chuck Palahniuk, con uno sconto aggiuntivo del 30% su già misero prezzo di copertina. Non avevo tanta voglia di leggerlo, ma mi è sembrata una specie di piccolo risarcimento nei confronti della libreria. A volte bisogna pur scendere a patti con la propria coscienza.

Commenti

Post popolari in questo blog

Racconti?

Wikipedia: fontare o non fontare

Facebook (4) – Libertà di diffusione