Daniel Pennac

Sembra che in Europa sia una cosa normale e che lo facciano tutti: perché io no? E allora vado da Feltrinelli al sabato pomeriggio (in realtà bisognerebbe farlo nella pausa pranzo, ma questi sono dettagli trascurabili) e mi scelgo un libro. Poi mi siedo su una delle poltroncine appositamente disseminate nel locale e mi metto a sfogliarlo. È l’ultimo “romanzo” di Pennac, al secolo Daniel Pennacchione, geniale scrittore che ha, purtroppo per noi fans, perso la vena narrativa quando ha chiuso la saga della famiglia Malaussene. Questa volta il professore descrive come un alunno tanto negato per l’apprendimento da metterci un anno a imparare la lettera a alle elementari è riuscito a trasformarsi in un insegnante e uno scrittore. Un applauso a suo padre che commentò, entusiasta, “Pensa, Daniel, a ventisei anni riuscirai splendidamente a padroneggiare tutto l’alfabeto!”
Dovrei sentirmi un po’ in colpa: i libri si comprano e si leggono a casa. Ma sento che questa regola non vale per Pennac, almeno da Ecco la storia in poi. E non è stato proprio lui a dire che se un libro non ci piace non è un delitto metterlo da parte? Per scoprire se un vestito ti sta bene lo indossi in camerino; perché con un libro non si può fare lo stesso, leggendone qualche pagina comodamente seduti? Non sto certo rubando nulla a nessuno. E poi, se fosse vietato, un commesso sarebbe già venuto a dirmelo, no? E ancora, perché mettere delle poltrone se non vuoi che i clienti scrocchino una lettura?
E infatti non sono il solo a dedicarmi a questo sport. Mentre nel locale si spande il sottofondo di una tristissima raccolta di ballad di John Denver, guardo altre persone accomodarsi sulle poltrone acconto a me, sfogliare, leggere, tornare indietro, chiudere i libri, riaprirli. Stanno qualche minuto, si alzano, si appropriano di altri testi, tornano indietro prima di perdere il posto. Un ragazzo è addirittura arrivato con una pila di dieci/dodici libri: indecisione spinta all’eccesso o tentativo di comporre una Poesia dorsale? Libri d’arte, uno su Second Life, romanzi, saggi, ricette, barzellette, si vede proprio di tutto. Non c’è genere che si sottragga a questa sorta di rito collettivo.
Un po’ guardo i miei compagni di lettura, un po’ leggo. Il bambino Pennac racconta di quel suo compagno che si fece spiegare con millimetrica precisione dove fosse l’appendicite, prima di simulare un malore per sfuggire alle interminabili giornate in collegio. Portato d’urgenza all’ospedale, finì immediatamente sotto i ferri. Il chirurgo, terminato l’intervento, andò dai genitori e disse “Avete fatto bene a portarlo qui in fretta: stava già andando in peritonite!” Misteri delle patologie scolastiche.
Intanto, per nostra fortuna, la raccolta di John Denver è finita (scegliere le canzoni country no, vero?) e qualcuno l’ha sostituita con un cd di Elvis. Tengo il ritmo con il piede mentre continuo a leggere. Il preside della scuola di Pennac tiene d’occhio uno di quinta che sta collezionando assenze una dopo l’altra. Ogni mattina va a fare personalmente l’appello in quella classe, sperando di beccare il trasgressore in fallo. Quel giorno, però, non lo trova. Scende in presidenza e chiama la madre dell’allievo. “Mio figlio è a letto con la febbre alta” dice la signora. Il preside si tranquillizza, esce dall’ufficio e guarda davanti a sé. Vede il ragazzo taglione camminare in mezzo al corridoio: durante l’appello era andato in bagno.
Rido, anche perché questa scena è successa anche nella scuola di un mio amico. E già che ci sono mi alzo. Ho letto più di novanta pagine e, per oggi, mi sembra sufficiente. Vado verso la cassa e, prima di uscire, rimetto il libro al suo posto. Poi supero le persone in fila ed esco dal negozio. Perché non ho comprato il “romanzo” di Pennac? Sapevo che non l’avrei fatto, sin da quando l’ho preso in mano per la prima volta, quasi un’ora prima: dopo Storie di altre storie ho deciso che non avrei più comprato un suo libro. È una specie di rimborso al contrario. Alla peggio, la prossima settimana, quando tornerò a passeggiare in centro, mi leggerò le novanta pagine successive. In una quindicina di giorni l’avrò finito. Non so se riuscirò a far pace con la mia coscienza ma, ogni tanto, bisogna affrontare le tentazioni. E cercare di superarle. Forse.

Commenti

Anonimo ha detto…
Sul declino creativo di Pennac la pensavo esattamente come te. Anzi, la stessa saga dei Malaussene mi sembrava diventata un pò "manieristica" nei suoi ultimi episodi. Impossibile ritrovare l'interesse da "il paradiso degli orchi". tanto per dire.
Eppure questo Diario di scuola ha una sua autenticità, questa autobiografia scolastica sembra scaturire da una reale necessità dell'autore.
E credo che, almeno per chi vive a contatto con il mondo scolastico (e di conseguenza per tutti quelli che hanno figli..) sono 16 € spesi bene.
Le riflessioni di Pennac mi sembrano intellettualmente molto oneste e, talvolta, profonde.
Questa volta, dopo avere buttato via i soldi per l'acquisto di altri libri dello stesso autore, ho rischiato... e sono soddisfatto;)
Andrea Borla ha detto…
In effetti, proseguendo la lettura, ho incontrato pagine interessanti (deliziose quelle sullo scaricabarile che coinvolge tutti i soggetti a diverso titolo interessati dal problema dell'istruzione e che porta, inevitabilmente, a non risolvere i problemi).
Certo, non andavo in cerca di una nuova Fata carabina, ma le pagine che ho letto non mi hanno purtroppo soddisfatto appieno. E dico purtroppo come tutti i fan di Pennac(chione).
Il sabato successivo, sempre accomodato sugli stessi divanetti, mi ha fruttato altre 90 pagine. Sono a poche decine dalla fine: poi potrò dire la parola conclusiva. Sempre che i commessi della libreria non mi gettino fuori a calci, ovviamente.
Anonimo ha detto…
verso i libri provo un irrefrenabile desiderio di possesso...
purtroppo non ho librerie abbastanza vicine da permettermi di passarci un po' di tempo per leggere i libri...e il sabato e la domenica sono troppo affollate le mie preferite per invogliarmi a fermarmi a leggere un po'.
però hai ragione...
presa dal mio irrefrenabile desiderio spesso ho comprato libri illeggibili, noiosi, roba abbandonata dopo vani tentativi (una volta arrivavo alla fine anche dei libri che detestavo...ora no, li lascio stare...la vita è tropppo breve perchè io possa legegre tutti i libri che mi piacerebbero, perchè sprecare tempo con quelli che non mi piacciono)...
quindi non trovo nulla di male a "provarsi" un libro...proprio come un abito...
se mi sta bene, lo prendo, altrimenti....ne cerco un altro...
Andrea Borla ha detto…
Due commenti ricorrendo ad altrettante citazioni:
- "la vita è tropppo breve perchè io possa legegre tutti i libri che mi piacerebbero"
Troisi: Loro sono in tanti a scrivere, io sono da solo a leggere.

- "quindi non trovo nulla di male a "provarsi" un libro"
Pennac "Come un romanzo": Diritti dei lettori: "2- Il diritto di saltare le pagine; 3 - Il diritto di non finire il libro; 7 - Il diritto di leggere ovunque; 8 - Il diritto di spizzicare;"
E se lo diceva lui...

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