Priuli e Verlucca

Quando ci si trova di fronte a un arzillo signore di ottantadue anni che mostra una verve da ventenne, a un editore di grande esperienza, a un novello scrittore che tuttavia ha masticato parole per una vita interna, dovrebbe venirmi da domandare “Ma anche io, alla sua età?”. E invece mi viene in mente Fruttero e la sua frase autoironica: “Tutti dicono con stupore Ho visto Fruttero.Poi aggiungono Lu-ci-dis-si-mo!”
Davanti a me c’è Velucca, in carne e ossa intendo. Mi sono precipitato a vederlo nel dulcis in fundo di una serie di incontri con gli studenti di un istituto superiore. So che dovrei fare un sacco di cose, parlargli, domandare, indagare, farmi raccontare, confrontare, memorizzare, imparare, rimuginare, farmi una ragione. E invece sto zitto e resto seduto (scomodo e precario) su una sedia con un solo bracciolo. Sarà che è un periodo in cui la voglia di parlare latita, ma sto lì immusonito e apparentemente tonto. Non faccio una gran figura, devo ammetterlo: marketing zero. Il massimo che posso permettermi, e che il mio ruolo di spettatore mi impone, è anche la cosa che nella vita mi è sempre riuscita con maggiore semplicità: ascoltare e confrontare le parole degli altri con le mie esperienze.
Nella sua veste di editore, Verlucca risponde a tutti coloro che gli inviano dei manoscritti, pubblicando i salvati e augurando ai sommersi maggiore fortuna in altri lidi (io ricevo lettere con su scritto un formale “il testo che ci ha sottoposto non è confacente alla nostra linea editoriale”). Come scrittore si ritrova a riscrivere mentalmente qualunque testo si trovi a leggere (io non posso più guardare i telefilm perché mi ritrovo a scoprire il come va a finire non dall’intreccio della storia ma dalla struttura usata dal narratore).
Anche i ragazzi ascoltano. “Quando ero giovane avevo un vezzo” spiega Verlucca. “Ogni giorno imparavo a memoria un canto della Divina Commedia. Evidentemente non avevo particolari distrazioni” aggiunge sornione. “La playstation!” ribatte una voce dal pubblico. Eh no, caro mio, credo si riferisse alle compagnie femminili. La risposta, tuttavia, marca la differenza tra ieri e oggi.
Io taccio e confronto. Verlucca parla della scrittura come di un mosaico, in cui ogni tessera è realizzata in tempi diversi, soprattutto grazie all’osservazione della realtà, ed è messa al posto giusto durante la stesura del libro (io invece scrivo a strati, passando e ripassando il colore sulla tela). Sostiene che chi scrive debba avere le idee e la tecnica della scrittura, ma che le due doti possono anche essere possedute da persone diverse, l’una che progetti e l’altra che realizzi mattone dopo mattone (da piccoli, i miei amici volevano fare gli astronauti o i calciatori; io volevo fare il muratore. C’entra qualcosa?).
I ragazzi parlano e vengono sgridati. Per riparare fanno domande spontanee scritte su un foglio di carta che passa di mano in mano, una sorta di clandestino additato da tutti. Poi la professoressa invita una fanciulla a leggere un brano di un libro di Verlucca. La ragazza accetta coraggiosamente (ma poteva davvero fare altrimenti?) e si arrampica sul testo paragrafo dopo paragrafo. “Il suo fìsick du rule” dice. “Fisìc du rol” la corregge Verlucca. “Ma io non ho fatto francese” si scusa. Tutti annuiamo: non si può pretendere che chi non ha dimestichezza con la mielosità della lingua d’oltralpe sappia pronunciare fisic du role, no? “Ho sempre studiato inglese” aggiunge. E allora sorridiamo accondiscendenti. “Come una mànnechin…” riprende la ragazza. “Manchén” diciamo in coro. “Sì, ma io ho studiato inglese, non francese”. E due. Ok, ci può stare, l’abbiamo capito. “Quando entrò nel diutai fre dell’aeroporto…” “Diuti fri!” imprechiamo. “Ve l’ho già detto che…” comincia. Poi ammutolisce.
Avrei voluto fare a Verlucca una considerazione e un chilo e mezzo di domande… La considerazione è stupida, me ne rendo conto: scopro con un po’ di tristezza che Priùli si chiama in realtà Prìuli. Mi sento invadere da un senso di malessere: è perché Prìuli mi affascinava di più prima, quando aveva l’accento sbagliato o perché mi trovo a vestire i panni della ragazza del fìsick du rule che non ha mai studiato francese? E le domande… cosa pensa degli editori, con che strumento scrive, se con la penna o col computer, quali sono i suoi ritmi, perché pensare di creare una coppia in grado di riempire il vuoto lasciato da Fruttero&Lucentini e poi firmare i libri con un solo pseudonimo, perché celarsi dietro un nome straniero, quasi come gli scrittori italiani di fantascienza degli anni ’60 e ‘70, se usa il punto e virgola (che io ho bandito per principio), se il passato remoto…
Ma poi sto zitto, sdraiato nella sedia come gli altri ragazzi presenti nell’aula semi interrata. Anche loro seguono il discorso con attenzione. Ma io ho un pensiero in più: so già che, non appena arrivato a casa, spedirò un manoscritto a Verlucca. Mi sto tuttavia domandando se anch’io, tra qualche settimana, riceverò dalla sua casa editrice una lettera molto cordiale, con in calce la sua firma e l’augurio di trovare maggiore fortuna altrove.

Commenti

Patty ha detto…
Quando si è ospiti d'onore non si sa mai bene che dire...
Se dovessi ricevere una lettera di gentile diniego facci sapere se sarà almeno carinamente ironica come quella che sicuramente tu gli avrai mandato
Betty ha detto…
Mio marito ha inviato la sua opera che secondo me poteva star bene alle edizioni Priuli e Verlucca. Il gentile diniego è stata un "non c....e minimamente la proposta" e chiedo scusa per la finezza. Non so cosa sia peggio.
Andrea Borla ha detto…
@Patty: appena ricevo il diniego lo pubblico. (Bello che a nessuno passi nemmeno per l'anticamera del cervello che io possa ricevere una risposta positiva, vero? ;)

@Betty: ma allora il Verlucca predica bene ma razzola male? Tuo marito cosa ha inviato? E quando possiamo leggere i tuoi racconti?
Patty ha detto…
Guarda che ho scritto "Se dovessi ricevere....."!!!
Anonimo ha detto…
che bello....
mi sembrava di vedere tutti...

:-)

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