Guerrino Babbini (Italia da leggere)


Riprendo il ciclo di brevi presentazioni dedicate agli scrittori che meriterebbero più spazio e più attenzione da parte dei lettori. Lo faccio con Guerrino Babbini, frate francescano divenuto dapprima prete-operaio e, in seguito, una volta abbandonato l’abito talare, attivo sindacalista della protesta operaia degli anni ’70.
Il libro “Quando (la fede e la lotta sono di classe)” ripercorre il suo percorso di vita, dal momento in cui Guerrino sceglie la via della fede alle lotte intraprese per la difesa dei lavoratori della Singer di Leinì.

Uno scrittore esordiente a 72 anni: è il segno di un percorso meditato o di un’urgenza di comunicazione tardiva e improvvisa?
La necessità di comunicare è sempre stata un'esigenza importante. Scrivere un libro era tra i miei sogni giovanili, ma non avevo nulla da dire. Entrato nella classe operaia, erano tante le cose da dire, ma non era un libro lo strumento di comunicazione. Si parlava con le assemblee, con le lotte, con i volantini.
Ho deciso di scrivere a 72 anni, perché i ricordi scolorivano anche per me. Ho cercato di fermare l'oblio. Le lotte operaie hanno grandi valori, costruiscono libertà e democrazia e qualità della vita. Salvano e salverebbero molte vite che i lavoratori continuano a perdere sul lavoro.

I tuoi diari dell’epoca “erano un parlare-pregare”. Anche quando il prete operaio ha perso la connotazione religiosa ed è diventato solo un lavoratore, era proprio necessario distruggerli?
Entrato nel mondo del lavoro ho scritto solo lettere e volantini e ho letto poco. I diari erano vaneggiamenti di un periodo pseudo mistico precedente.

Nel libro dici che “la mia preghiera preferita era parlare a ruota libera”. Molte pagine dopo sostieni che il dubbio di parlare allo specchio è stata una delle molle che ti hanno spinto ad allontanarti dalla Chiesa.
No. Mi sono allontanato dalla chiesa quando ho capito che non era un'istituzione utile ai lavoratori. Con la chiesa ho rinunciavo anche alla religione, come istituzione umana utile all'acquisizione e alla gestione di poteri e di averi. Pensavo di restare radicato nella fede, che fino ad allora aveva guidato la mia vita. Non è stato così. Molte riflessioni hanno fatto vacillare le mie convinzioni sull’esistenza di un dio persona, distinto dall'umanità. A questo punto, per quanto riguarda la preghiera, si è materializzata l'immagine dello specchio e ho smesso di pregare.

Gli anni ’70 sono indissolubilmente legati al fenomeno del terrorismo. Eppure in Quando questo argomento è trattato solo di sfuggita.
Una sera a Ballarò parlavano del libro "Spingendo la notte più in là" di Mario Calabresi. Quando Floris chiese "Solo notte gli anni settanta?" Calabresi rispose "Non chieda a me di rivalutare gli anni settanta. Ferrara disse che sono l'origine di ogni violenza e terrore che ancora oggi persiste nei dibattiti, che sono anni terribili. La figlia di Tobagi sostiene invece che nelle carte di suo padre c'è una grande creatività stroncata dalla violenza".
Floris ebbe il colpo di genio della sua carriera e disse: "Io del 1978 ricordo i mondiali in Argentina". Ferrara lo incenerì con lo sguardo e gli ingiunse di dare una ripassata.

È ancora possibile l’antagonismo costruttivo nei rapporti tra azienda e lavoratore?
Se ci fosse parità di potere sarebbe possibile e molto vantaggioso.

Nel libro troviamo una critica al sistema economico, produttivo e sociale del nostro tempo, una critica che affonda le radici nelle lotte operaie. Come si andare oltre rispetto all’attuale modello di sviluppo costante?
Alcune indicazioni le dà la crisi attuale. Tutti parliamo di crisi finanziaria, bancaria ed economica. In questo modo rovesciamo il rapporto tra causa ed effetto. La società capitalistica per il profitto produce di tutto e di più, armi comprese. Poi i prodotti bisogna venderli, anche quando chi li deve acquistare non ha soldi.
La crisi sta principalmente nell’eccesso di produzione. I prodotti restano nei magazzini e le banche non vedono il rientro dei crediti. Allora trasformano i crediti, ormai carta straccia, in titoli tossici, si fregano a vicenda e soprattutto cercano di fregare i risparmiatori.
Bisogna invertire la tendenza: la ricchezza prodotta va ridistribuita nei salari. È ora di capire che i poveri non possono sopravvivere a loro spese, se la ricchezza che producono finisce nelle tasche dei ricchi.

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