Parole e stupidaggini

Dal solito chilo di ritagli di giornale che ricevo periodicamente da mio zio, estraggo quelle che definisco le stupidaggini, le notizie di costume o di colore che escono dalla monotonia della politica, dell’impegno e del disimpegno sociale, delle opinioni appositamente caotiche e scoordinate che i media ci propongono.
E così scopro che il vocabolario inglese si arricchisce di una nuova parola ogni 98 minuti. Ci sono sempre nuove situazioni e nuove figure a cui riconoscere dignità attraverso il battesimo lessicale. Quello che mi ha colpito di più? La momager, la madre di una star che funge anche da manager: due incubi al prezzo di uno.
E qui da noi? Gli italiani sono molto più avanti degli inglesi: prima che una parola venga presa in considerazione come neologismo deve decantare e stabilizzarsi. Siamo gli eredi della Crusca, no? È per questo che solo a luglio 2009 lo Zanichelli ha aggiunto acchiappo (inteso come seduzione) nel vocabolario. La buona notizia? Letteronza è sotto osservazione. Sono indecisi se inserirla o no. Fosse per me non avrei dubbi.
E mentre i Cruscaioli pensano e valutano, il via libera arriva per il traduttese, la cadenza monotona e piatta usata dai traduttori, e per lo staffista, che non c’entra con le staffette ma che definisce l’appartenenza allo staff di qualcuno. Perché siamo il popolo della globbalizzazione con due bi, del navigatore che porta due coniugi svedesi a vedere i faraglioni a Carpi (Modena) invece che a Capri, quello che ha bisogno di veder disegnata una mosca negli orinatoi dell’aeroporto di Amsterdam per aumentare dell’80% (ottantapercento!) la mira degli uomini.
Siamo un popolo attento alle stupidaggini, insomma, più che a tutto il resto. O il popolo delle letteronze, se preferite, perché sono loro il vero specchio di fronte al quale i nostri difetti appaiono impietosamente senza possibilità di essere nascosti. Perché non prenderne semplicemente atto? Perché non ammettere la verità al di là delle parole, come fece un signore anziano incontrato fuori da un bar in un paese di provincia? “Altro che letterine o veline” disse serio. “Ciamumle bagase: a l’è pi ciair”.

Commenti

Anonimo ha detto…
E' vero. Siamo un popolo insicuro che medita sulle regole senza preoccuparsi di fissarle in modo chiaro. La nostra lingua è tra le più complesse dal punto di vista grammaticale e anche lì, per adeguarsi alla "globbalizzazione", si svisa di tanto in tanto (andare a capo con apostrofo per esempio: lo - a capo - orso o l' - a capo - orso? Vanno bene tutti e due, per non scontentare nessuno. E così si medita... per poi accettare tutto. In tutti i settori...
Betty ha detto…
sono Betty in anonimato...

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