Pensieri e giornali

“Piano italo-tedesco per la Libia”. Il titolo attrae immediatamente la mia attenzione, spaparanzato com’è, bello largo, a occupare tutta la prima pagina di un quotidiano nazionale. “L’ultima volta che l’Italia e la Germania hanno avuto un piano per la Libia” penso mentre mi siedo al tavolino del bar e prendo in mano il giornale “le cose non sono andate molto bene”.

Leggo, sfoglio, seguo i rimandi pagina dopo pagina, in una specie di caccia al tesoro. E così, senza volerlo, riscopro il piacere di concedermi un po’ di tempo e godermi la lettura di un giornale. Godermi, oddio, forse non è il verbo giusto. L’atto del leggere mi stuzzica e mi dà sollievo, il contenuto della lettura… be’, quello è tutta un’altra storia. Quasi a voler disegnare un fil rouge con la storia (intesa come “argomento”) della Libia, ecco un articolo su Alessandra Mussolini. “Sarà qualcosa sulla difesa delle donne” penso. Non proprio. Questa volta la nostra si scaglia contro Bianca Balti (chi?), la nuova testimonial della TIM, quella che ha soffittato Belen, prendendone il posto e, in parte, lo stipendio. Troppo scollacciata? Troppo sensuale? Troppe donne mercificate? No, non è colpa di quella cosa lì, ma di questioni ben più alte. “Non ci posso credere che abbia veramente detto una cosa simile” tuona Alessandra. “Chissà cos’ha detto” penso mentre ripasso il frasario della nostra Mussolini. Leggo che la velina ha osato scrivere, sulla sua pagina di Facebook, “Porca Italia”. “E riferendosi a chi?” penso. “Ha insultato la maggioranza degli italiani che con convinzione ha votato il nostro premier” spiega la Mussolini. Oddio, sono veramente nei guai. Una delle ultime cose che ho scritto su Facebook è “voglio avere successo senza far nulla per meritarmelo”. Ho insultato qualcuno anch’io? “Hai scritto un libro?”. In prima pagina, francobollato nell’angolo basso e illuminato da un irritante sfondo rosso, una casa editrice promette di valutare manoscritti. “Con attenzione letteraria” aggiungo sorridendo. Cambiano i nomi, i recapiti telefonici, ma la minestra è sempre la stessa, riscaldata di volta in volta. Non c’è più un concorso che vincono tutti, a prescindere, ma qualcuno che “valuta” per poi formulare una “proposta editoriale”. A leggere tra le righe c’è una maggiore schiettezza rispetto al passato, ma da qui alla sana editoria ce ne passa ancora.
Mi consolo leggendo un trafiletto su Pater Noster uscito su Il Punto City Life, un magazine di Torino. Poi torno al quotidiano di prima e volto una pagina dopo l’altra, fino a scoprire un piccolo articolo sugli ebook. Classifiche, recensioni, annunci di libri di comici in formato digitale (digitali… i libri, non i comici). Ho già detto che non sono un appassionato degli ebook (e, tra parentesi, non credo che siano la tomba delle piccole case editrici). E non sono nemmeno un fan del melafonino, di cui posso elencare con destrezza carenze e difetti per quasi un’ora. Su una cosa, però, devo ricredermi: sull’iphone si può leggere e sfogliare senza cavarsi gli occhi. È proprio il caso di dire vedere per credere. Arrivo alla fine senza nemmeno accorgermi di aver acquisito la stessa indole dei giornalisti, quella malsana mania di creare nuove parole ed espressioni, un po’ per attirare l’attenzione, un po’ per generare improbabili tormentoni, un po’ per crogiolarsi nell’eco della propria voce. Il titolo spaparanzato, la pubblicità francobollata, la velina soffittata… “Alcuni parlamentari tentano di cangurare la linea che divide maggioranza e opposizione” leggo. Chiudo il giornale e lo appoggio sul tavolo, facendo spazio tra tazzine, cucchiaini e un rimasuglio di torta. Seppellisco quelle parole con il peso di un macigno, anche se un dubbio mi rimane: ma che cazzo vuol dire cangurare?

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