De Carlo

No, non gli ho scritto. Come capita spesso, tutto parte da una frase: “Dopo aver letto In prima persona ho pensato che fa molto De Carlo. Hai letto niente di suo?” Immediatamente dopo la mia risposta negativa Flavio Massa ha tirato fuori dalla ventiquattrore Due di due e me l’ha imprestato.
Il libro mi è piaciuto, nonostante non ami le storie che abbracciano una grossa fetta della vita dei protagonisti. De Carlo racconta quindici anni di due studenti che, seppur affetti dalla stessa voglia di evadere da un mondo rigido e opprimente, reagiscono prendendo due strade divergenti: la fuga verso la natura incontaminata e la vita contadina per l’uno; la fuga dal mondo e da se stesso con il viaggio, la droga, la letteratura per l’altro. Tutti e due sono alle prese con il problema del rapporto individuo/società. Tutti e due vogliono cambiare il mondo.
De Carlo dissemina il libro di ragionamenti, pensieri e considerazioni. Ne ho sottolineati alcuni che ho trovato particolarmente significativi.

“Puoi anche compiacerti all’idea di tutti i personaggi romantici e suggestivi che non sono riusciti a stabilire una relazione con il mondo e sono andati in malora, ma questo non toglie niente alla stupidità di buttarsi via.”

“Un tempo la gente che viveva nelle città ne era orgogliosa. Tutti si sentivano partecipi di una vista, o dei materiali di un muro, di una prospettiva o di uno slargo riparato. E gli abitanti potenti e ricchi si davano da fare per il luogo nel suo insieme, Lo consideravano una loro estensione, la sua bellezza generale era anche la loro gloria privata. (…) Adesso sono solo dei centri di saccheggio di energie umane, e gli abitanti (…) cercano solo di blindarsi e impermeabilizzarsi più che possono dall’orrore che hanno prodotto.”


Ma soprattutto “non bisognerebbe mai immaginarsi niente molto in dettaglio, perché l’immaginazione finisce per mangiarsi tutto il terreno su cui una cosa potrebbe succedere.

Terminato il libro ho due domande da fare. La prima è: chissà se Eco avrebbe dato anche a De Carlo il suo famigerato suggerimento “Non scrivete. Telefonate.” E poi… secondo Flavio, io e De Carlo abbiamo molto in comune. Dubito sia così. E poi siamo sicuri che De Carlo sarebbe contento del paragone?

Commenti

Anonimo ha detto…
Ti direi che preferisco il tuo stile, ma non è che poi ti monti la testa?
Andrea Borla ha detto…
Grazie (chiunque tu sia) ma lui è più diretto. Io meno troppo il can per l'aia. Poi lui passa anche per un bel figliolo.

Montarmi la testa? Io? Il più grande, anzi GRANDE, scrittore al mondo? Figurati... Nel frattempo ho cominciato "Uto", quello che la mia bibliotecaria preferita ha definito "il libro più strano scritto da De Carlo". Vedremo.

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