Libri fatti a mano

Dopocena a casa di un amico collezionista di libri (e non solo). Domanda: come si distingue un libro prezioso da uno che non vale niente? Lui mi guarda con un’espressione tra il “ah, questi profani!” e “certo che alla gente bisogna sempre spiegare tutto per filo e per segno”. Poi prende fuori un vecchio volume, me lo porge, mi legge titolo e anno di stampa: una versione originale del Decameron. Poi ne prende un altro: la versione dei Promessi Sposi dopo il lavaggio in Arno della lingua del Manzoni. Poi Leopardi. E così via.
Fin qui mi è chiaro: se il libro è famoso e l’edizione è del 1600-1700-1800… è facile fare uno più uno.
Poi prende un altro libro, questa volta sulla caccia nel Regno Unito. E’ zeppo di illustrazioni colorate. Lo guardo. “Bello.” E non capisco. Me ne porge un altro: è sugli insetti e in ogni pagina ci sono decine di disegni. Capisco ancora meno.
“A quel tempo” mi spiega “non c’era la stampa a colori. Tutti i disegni venivano acquerellati a mano.”
Ho sempre fatto una differenza tra libro come opera e libro come prodotto, ma mi sono sempre riferito al suo contenuto, mai al contenitore. E invece un’opera può (poteva) anche derivare dal processo di stampa utilizzato (con la composizione a mano delle lastre), alla carta (fatta a mano) e alle illustrazioni (colorate una per una).
Ma ci pensate al lavoro che comportava stampare un libro? Se un disegnatore doveva acquerellare ogni disegno… e in una copia c’erano centocinquanta illustrazioni di caccia… o trecento insetti… quanto tempo ci voleva per realizzare una copia? E per farne dieci, cinquanta, cento?
Oggi c’è la stampa digitale. Mi vengono in mente le parole di un personaggio inquietante che mi aveva chiesto oltre 2.000 euro per pubblicare Rethor&Lithil: “noi facciamo solo stampa tradizionale, in ottocento copie minimo: quelle putanate digitali… proprio no!”
Per punizione pensavo di fargli acquerellare a mano duecento illustrazioni per ognuna delle ottocento copie della tiratura: pensate che sia sufficiente come pena per una tentata truffa?

Commenti

Anonimo ha detto…
Quindi morale della lezione? Anzichè limitarti a firmare o fare un dedica sui tuoi libri ora li scriverai con Word 0.1... cioè a mano???? Qualcuno ultimamente ha scritto che per avere successo bisogna andare contro corrente, forse scrivere i libri a mano in originale potrebbe essere una strada.
Andrea Borla ha detto…
Bello: del tutto controcorrente!
Ma al di là dei problemi di comprensione dei miei geroglifici, quegli strani segni che mi ostino a chiamare caratteri, il ritorno al manoscritto potrebbe essere una bella idea. Vedo già i titoli dei giornali: artigiano della scrittura, carta e penna nell'era digitale, amanuensi del nuovo millennio. Geniale!

Eppure, vedi come cambiano i tempi? Manoscritto, una volta, voleva dire "scritto a mano", cioè con carta e penna. Oggi è sottinteso che hai usato il computer: scrivi sempre a mano, ma schiacciando i tasti.
Betty ha detto…
Non oso immaginare un manoscritto con contenuto medico, scritto da un medico. Orribile. Io sono d'accordo perchè amo la bella scrittura, cosa che va perdendosi. E nelle scuole il corsivo è diventato un incubo per i bambini.
Andrea Borla ha detto…
Sarai felice di sapere che il rapporto tra scrittura e bambini sarà argomento del prossimo post, quello di domani.

Medico e bella scrittura non stanno molto bene nella stessa frase, non trovi? :)

Tra l’altro, a proposito di libri antichi, vi segnalo questa frase rubata dal blog di Chuck Norris

"Quando Gutenberg, entusiasta, gli comunicò di aver inventato la stampa, Chuck Norris lo assicurò che avrebbe diffuso la notizia con un annuncio sul suo blog."

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