Scrittori

Venerdì ho partecipato a un incontro con gli allievi di un istituto superiore. Sul programma distribuito nelle classi c’era scritto “Come si scrive un romanzo: presentazione di Odio” e, sulla stessa riga, “Andrea Borla – scrittore”.
La parola scrittore mi ha lasciato perplesso. Sono abituato a definirmi G.A.S.F., scrittore mi sembra troppo serio. E allora mi sono chiesto cosa diavolo sia uno scrittore.
Il problema (sempre che sia un problema) interessa molto di più i poeti, sempre pronti a domandarsi “cos’è un poeta?”. L’ha fatto Dante nel Purgatorio, Franco Loi , Sanguineti, Baudelaire, Mallarmé e via via tutti gli altri. Tra tutte, la miglior definizione sembra quella di Loi, che suona pressappoco come “una persona che parla di cose che non sa, usando parole di cui non conosce il significato.”
Porsi questa domanda, esattamente come interrogarsi sull’identità dello scrittore, può apparire un po’ ridicolo. Immaginiamo di trovare un vigile urbano fermo in mezzo a una strada, circondato da auto e pedoni bloccati da un ingorgo. È immobile. Quasi non respira. “Cosa diavolo fai?” gli chiede un passante inferocito. “Mi sto chiedendo chi è un vigile urbano?” O un idraulico che si ferma con la chiave inglese in mano e si mette a fissare il vuoto. “Chi è l’idraulico?” dice. Come minimo gli fracasseremmo i denti. Cavolo, ti pago cento euro all’ora (in nero) e tu te ne stai lì a farti domande così cretine?
Eppure i poeti possono, forse anche perché in questo modo si interrogano sull’essenza dell’uomo, individuano e definiscono la propria identità. Ed è importante, soprattutto per coloro che scandagliano l’animo umano e cercano di rappresentarlo con suoni e parole.
Quindi, i poeti sì, posso farsi domande strane. Ma una cosa è certa: gli scrittori no.
Nessuno si chiede chi e cosa sia uno scrittore. È qualcuno che ha scritto un libro? Condizione necessaria, ma non sufficiente: nel mondo dell’editoria digitale, tutti possono scrivere e pubblicare. E poi c’è internet: i Wu Ming hanno ampiamente dimostrato che si può essere scrittori senza veder stampati i propri libri (poi, probabilmente, si sono accorti che stamparli, quei libri, poteva rendere parecchio e si sono convertiti alla carta, ma questo è un altro discorso).
È sufficiente aver pubblicato per essere etichettati come scrittori? O forse ci vorrebbe qualcosa di più? Il libro deve essere di qualità? E chi giudica la qualità? O deve essere di successo? Quali sono i termini del successo? Oppure il libro non c’entra nulla e l’unica cosa che conta è essere personaggi prima che scrittori? (Su questo vi rimando a una discussione aperta dal blog Letteratitudine).
Tornando alle domande, lo scrittore è colui che passa la maggior parte del suo tempo a scrivere? Potrebbe essere, anche se questo mi escluderebbe dalla lista (e non solo questo): faccio parte della categoria lavoratore-scrittore, un ibrido che si aggiunge a studente-lavoratore e a prete-operaio. Ma allora anche Umberto Eco non potrebbe essere definito uno scrittore: in realtà è un professore universitario che, ogni tanto, si mette a scrivere.
E allora, in un mondo privo di mecenati, non rimane che dire che lo scrittore è colui che si mantiene con i proventi dei propri libri, che compra il pane con i diritti d’autore. Insomma, come al solito siamo quello che mangiamo. O quello che guadagniamo.
Una domanda, alla fine, si aggiunge a quelle formulate sinora. Chi è il poeta? Chi è lo scrittore? Ma soprattutto, chissenefrega?

Commenti

Betty ha detto…
Troppe domande senza risposta. Industrializzazione, progresso e benessere hanno contribuito alla dimminuzione dell'analfabetismo. La scrittura non è più di pochi, ma di tutti o quasi. Ai tempi di Shakespeare, nessuno si sarebbe posto domande. Mi ricordo il tuo post sulla corrida e sullo "scimmiottare" i mestieri.
Crescono le possibilità (cognitive, didattiche... evolutive) e tutti possono in potenza. Che in atto non si riesca però ad esplodere come geni creativi... questa è una delle amare conseguenze.
Sul fatto che tu sia un ibrido... bè, prima di diventare scrittore ti devi per forza mantenere. Una cosa non esclude l'altra, almeno per ora.
Anonimo ha detto…
Già, chissenefrega...
Andrea Borla ha detto…
"Chissenefrega" sta diventando la mia risposta definitiva a un sacco di cose. E' grave?

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